Tre palestinesi sono rimasti uccisi nella Striscia di Gaza in quello che appare come un nuovo episodio di violazione della tregua concordata tra Israele e Hamas. Secondo quanto riferito dall’agenzia palestinese Wafa, le vittime sarebbero civili colpiti da bombardamenti israeliani su aree dell’enclave già duramente provate dai mesi di conflitto. Fonti mediche locali parlano di attacchi “concentrati su zone residenziali del centro e del sud della Striscia”, mentre testimoni raccontano di esplosioni avvenute poco dopo la mezzanotte.
Scontri a Gaza in violazione della tregua: tre morti
Il cessate il fuoco, mediato da Stati Uniti, Egitto e Qatar, prevedeva la sospensione di ogni operazione militare e un progressivo scambio di ostaggi e prigionieri, accompagnato dalla restituzione dei corpi dei caduti. Tuttavia, la tregua continua a essere fragile, con accuse reciproche tra le parti e un clima di sospetto che rende difficile ogni consolidamento.
Il ritorno dei corpi e il fragile equilibrio della tregua
Parallelamente agli scontri, Israele ha restituito oggi i corpi di altri trenta palestinesi. Si tratta, secondo fonti militari israeliane, di resti appartenenti a miliziani e civili morti durante le operazioni di guerra precedenti. Il trasferimento rientra nel piano di scambio stabilito nell’accordo di cessate il fuoco, che prevede la consegna di quindici corpi palestinesi per ogni ostaggio deceduto restituito da Hamas. Con l’operazione di oggi, il numero complessivo dei resti rimpatriati a Gaza sale a duecentoventicinque.
Fonti diplomatiche americane e qatariote confermano che la restituzione dei corpi rappresenta una delle clausole più delicate della tregua, poiché ogni ritardo o presunta violazione può trasformarsi in un pretesto per la ripresa delle ostilità. “Il rispetto dell’accordo umanitario è essenziale per garantire la fiducia tra le parti e avviare un percorso di stabilità duratura”, ha dichiarato un portavoce del Dipartimento di Stato statunitense, ribadendo l’impegno di Washington nel monitorare il cessate il fuoco.
Testimonianze e bilancio umanitario
A Gaza, le sirene e gli scoppi sono tornati a risuonare dopo giorni di relativa calma. I soccorritori della Mezzaluna Rossa hanno segnalato difficoltà nell’accedere alle aree colpite, a causa delle strade danneggiate e della mancanza di elettricità. Secondo i medici dell’ospedale di Deir al-Balah, due delle vittime sarebbero padre e figlio, colpiti mentre tentavano di raggiungere un rifugio.
Il bilancio umanitario resta pesantissimo. Le organizzazioni internazionali stimano che, dall’inizio del conflitto, siano stati distrutti o danneggiati oltre il 70% degli edifici civili di Gaza. La popolazione, ormai allo stremo, continua a vivere in condizioni di emergenza, con scarsità di cibo, acqua potabile e medicinali. Le Nazioni Unite avvertono che “ogni giorno di instabilità ulteriore allontana la possibilità di una ricostruzione e aggrava la crisi umanitaria”.
Israele accusa Hamas, Hamas denuncia violazioni
Dal lato israeliano, fonti militari sostengono che gli attacchi siano stati una “risposta mirata” a lanci di razzi provenienti dalla zona meridionale dell’enclave. Un portavoce dell’esercito ha dichiarato che “Hamas sta approfittando della tregua per riorganizzare le proprie forze e tentare nuovi attacchi contro Israele”. L’organizzazione islamista respinge ogni accusa e parla invece di “aggressioni deliberate contro la popolazione civile”, denunciando la violazione degli impegni presi da Tel Aviv.
Il portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum, ha diffuso un comunicato in cui si legge che “la tregua non può essere considerata valida se una delle due parti continua a uccidere civili e a bombardare case e ospedali”. Dalla parte israeliana, la risposta è arrivata immediata: “Le nostre forze operano per difendere la sicurezza dei cittadini e reagiscono solo in caso di minaccia diretta”.
Diplomazia in affanno
Sul piano internazionale, gli Stati Uniti, principali garanti dell’accordo, chiedono “moderazione e rispetto degli impegni sottoscritti”. Washington mantiene contatti costanti con Egitto e Qatar, i due mediatori più attivi nel dialogo indiretto tra le parti. L’Unione Europea, da parte sua, ha espresso “profonda preoccupazione” per la ripresa delle violenze, sottolineando che “la tregua non è un traguardo ma un punto di partenza verso una soluzione politica”.
Analisti regionali avvertono che la situazione potrebbe precipitare nuovamente, soprattutto se il numero delle vittime dovesse aumentare. “Ogni morto rischia di innescare una spirale di ritorsioni che cancella settimane di negoziati”, ha commentato un osservatore delle Nazioni Unite a Gerusalemme.
Una pace sempre più lontana
Nonostante gli sforzi diplomatici, il conflitto tra Israele e Hamas sembra intrappolato in un ciclo di tregue violate e accuse reciproche. La popolazione di Gaza resta la principale vittima, costretta a sopravvivere tra le macerie e l’incertezza del futuro. Ogni giorno di violenza riduce la fiducia nella possibilità di una pace stabile, mentre la comunità internazionale continua a oscillare tra appelli e impotenza.
A Gaza, le famiglie seppelliscono i loro morti, mentre nei cieli tornano a risuonare i droni. La tregua, fragile come la speranza, sembra già sull’orlo del collasso.