TIM, per la bassa capitalizzazione di mercato, fa gola ai fondi

- di: Redazione
 
Ormai i fondi sono diventati le superstar della finanza, forti di una tale capacità di spesa da sentirsi autorizzati a pensare di potere acquistare tutto. Ovviamente al prezzo che loro ritengono il punto di equilibrio tra la valutazione e la realtà, per poi partire da lì per attuare le loro speculazioni. Quindi, quando qualche società o gruppo entrano nel mirino dei fondi, la prima reazione è di accogliere la notizia con soddisfazione, magari pensando ''ma guarda quanto siamo stati bravi, al punto il fondo X o Y si interessa a noi''. Diciamo che questa è la faccia A del disco, perché la B dice l'esatto contrario: ''Oddio, siamo andati talmente a picco che pensano di poterci comprare per il classico piatto di lenticchie''. Ci domandiamo, a questo punto, quale possa essere la risposta più aderente a quanto sta accadendo a TIM che, quando è arrivato al timone Giuseppe Labriola al suono delle fanfare, sembrava dovesse scalare tutte le graduatorie possibili e immaginabili e invece, oggi, si ritrova ad una soglia talmente bassa della sua capitalizzazione che fa gola agli squali della finanza, convinti di poterne fare un boccone e, poi, chissà, costruirci sopra un futuro radioso (e quando mai i fondi lo fanno veramente?) o forse no.

TIM, per la bassa capitalizzazione di mercato, fa gola ai fondi

Magari passando per un programma di secco ridimensionamento dei progetti, per arrivare a qualche spacchettamento, a qualche dolorosa ''operazione spezzatino''. Non bisogna mai dimenticare comunque che TIM resta uno dei gioielli della corona del sistema italiano, vuoi per il forte ancoraggio alla nostra società, vuoi per l'alto livello della sua tecnologia, vuoi anche per essere la stampella di una ''stampa amica'', tenuta buona con iniezioni pubblicitarie a tanti zeri.

Niente da sorprendersi: la promozione fa parte del gioco, anche quando fa distinzioni, quando - a parità di condizioni - privilegia uno a discapito dell'altro. Certo è che l'arrivo di Labriola aveva lasciato intendere o sperare che il registro della ''musica TIM'' sarebbe cambiato ed invece è andato avanti con faraoniche campagne pubblicitarie che hanno veramente fatto ricco qualcuno.

Ma chi ne ha pagato i costi? La risposta più scontata sarebbe semplicemente i clienti, per i quali magari meglio sarebbe stato non elargire sponsorizzazioni milionarie, utilizzando invece quelle somme per migliorare il servizio, per aumentare la capacità dei dipendenti di dialogare con il pubblico, cosa oggi resa difficile dal loro numero e dalla dimensione dei problemi, anche tecnici.
Ma non bisogna disperare.

Ormai nessuno parla più dello ''stellone italiano'', quello che sovrasta le immagini ufficiali dello Stato e che, nell'immaginario popolare, raffigura la buona sorte. Ma forse quello stellone veglia sulle sorti di TIM, che, sebbene abbia perso per strada parte del suo valore, tanto che la capitalizzazione di mercato è andata sotto i quattro miliardi, fa ancora gola. Tanto si è parlato di un'opa o, comunque, di un'offerta. Si vedrà. Intanto la partita vera è quella della rete unica, argomento centrale ormai da molti mesi e che potrebbe vedere la sua definizione solo con l'arrivo del nuovo governo. Perché Fratelli d'Italia, che del governo ha la golden share, sulla rete unica ha le idee ben chiare.
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