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TIM costretta a ridimensionare le previsioni per il 2021 e dice addio a Sanremo

- di: Redazione
 
TIM costretta a ridimensionare le previsioni per il 2021 e dice addio a Sanremo
Non occorreva certo essere geni della finanza per capire che i segnali dei malesseri di TIM non fossero sopravvalutati o dettati da chissà cosa che non la razionale interpretazione dei fatti. TIM mostra i segni di una politica (aziendale, finanziaria, progettuale, di immagine) che non è riuscita a stare al passo con i tempi. E quando ha cercato di anticiparli (vedi accordo con Dazn) ha evidenziati errori di valutazione con i quali deve ora fare i conti, dolorosamente.

TIM rivede le previsioni per il 2021 (e perde Sanremo)

La comunicazione ufficiale con cui TIM ha aggiornato le previsioni per il 2021 sembra essere, piuttosto che una enunciazione di dati non positivi, una presa d'atto del fallimento di alcune linee di comportamento seguite dal vecchio vertice dell'azienda di cui oggi si pagano le conseguenze. Non pensiamo meritino commenti le parole con cui, nel comunicato di TIM, di fatto si prenda atto di una serie di ''inconvenienti'' che, poi, in concreto, diventano veri e propri atti d'accusa per chi ha troppo osato, fidando su una immagine - sostenuta a colpi di campagne pubblicitarie faraoniche - che nei fatti si è dimostrata poco corrispondente alla realtà. Non merita commenti leggere che, per quanto riguarda, ''l'Ebitda Al organico della Business Unit Domestic è stimato in diminuzione (“low teens decrease”) verso l’anno 2020, con un peggioramento rispetto alla precedente previsione comunicata ad ottobre (“high single-digit decrease”), imputabile principalmente a minori ricavi della telefonia fissa, in parte connessi all’andamento dell’accordo con DAZN per la distribuzione della Serie A TIM''. Una frase che è la summa di battaglie perse, con la previsione di compromettere anche l'esisto della guerra.

Se poi si va a leggere quel che potrebbero determinare ''gli esiti della rinegoziazione in corso dell’accordo con DAZN'' si comprende come anche questa sia stata una iniziativa di cui non si sono valutati con attenzione ed un minimo di ponderatezza i possibili sviluppi, non solo economici, ma anche di immagine. Nel comunicato i riferimenti alla revisione - in peius - delle previsioni si susseguono e non potrebbe essere altrimenti, visto che TIM ha degli obblighi verso gli azionisti, ma anche verso i suoi clienti, che ormai non nascondono i malumori rispetto ad un servizio pagato non certo poco e che non è più soddisfacente. Perché - ma forse questo per il vecchio management era solo un piccolo fastidio - al cliente non interessa tanto essere bombardato di pubblicità, ma avere un buon servizio. Non ottimo, ma almeno appena sufficiente a rispondere alle esigenze dell'utenza. Per questo vedere scorrere sugli schermi televisivi cartoni animati, balletti, canzoni (queste ultime affidate ad artisti che, famosi, hanno anche costi elevati), sponsorizzazioni ha creato un certo malessere nei clienti, che si chiedono se magari si potesse spendere di meno in pubblicità, ma elevare la qualità dell'offerta.

Che i tempi belli sono finiti (o, almeno, meritano una attenzione diversa) lo attesta anche la decisione di TIM di non proseguire nella sponsorizzazione - anzi, da main sponsor - del festival di Sanremo. Ora, anche se i vertici Rai dicono di potere scegliere tra le società che sgomitano per subentrare a TIM, la decisione della società telefonica è un altro indizio che il vento sta cambiando. Perché Sanremo è anche una manifestazione ed una gara musicale, ma è soprattutto una kermesse che mischia molte delle esigenze di ''apparire'' che tornano sempre a manifestarsi nel nostro Paese. Il valore musicale di Sanremo è quello che è, e, in fondo, traduce perfettamente un certo modo di fare spettacolo che la Rai, che è servizio pubblico, ci riserva (si potrebbe anche dire, propina) da anni. Per questo ha un senso che TIM (che ha sempre cullato la sua immagine ''nazional-popolare'') ne abbia fatto, sborsando parecchi milioni, la sua vetrina, ma solo perché ha pensato di affidare la propria immagine ad un programma che è vecchio da anni - né potrebbe essere altrimenti, vista l'intangibilità della formula - e in cui non c'è margine per le sorprese. Un programma che raramente premia la qualità artistica, in cui tutti ridono o sghignazzano, obbedendo alla missione di dare una fotografia rassicurante al Paese, quando, invece, sarebbe necessario infondere fiducia, ma senza paillettes.
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