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Tuvalu, metà della popolazione chiede asilo climatico: primo esodo da uno Stato che scomparirà

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Tuvalu, metà della popolazione chiede asilo climatico: primo esodo da uno Stato che scomparirà

A Tuvalu, arcipelago di appena 11.000 abitanti nel mezzo dell’Oceano Pacifico, il futuro è diventato presente. Quasi la metà della popolazione ha fatto domanda per lasciare il Paese attraverso un programma di visti climatici offerti dall’Australia. È il primo caso al mondo di emigrazione sistemica autorizzata per effetto del cambiamento climatico. Il mare, che sale costantemente a causa del riscaldamento globale, sta inghiottendo lentamente il territorio, e la popolazione si prepara al peggio: diventare cittadini di uno Stato che non esisterà più fisicamente. Il fenomeno segna una svolta nella storia delle migrazioni e apre una nuova era per il diritto internazionale, che dovrà fare i conti con chi scappa non da guerre o fame, ma dal collasso ambientale.

Tuvalu, metà della popolazione chiede asilo climatico: primo esodo da uno Stato che scomparirà

Il programma di emigrazione è stato attivato nell’ambito dell’accordo bilaterale Falepili Union tra Tuvalu e Australia, firmato nel 2023. Esso prevede il rilascio annuale di 280 visti per “motivi climatici” ai cittadini di Tuvalu. La novità sta nel riconoscimento formale che la crisi climatica può rendere inabitabile un’intera nazione, giustificando così la migrazione. In pochi giorni, oltre 4.000 persone si sono iscritte al sorteggio per ottenere il visto. Tuvalu è uno degli Stati più vulnerabili del pianeta: con un’altitudine media di meno di due metri sul livello del mare, già oggi deve fronteggiare inondazioni frequenti, erosione costiera, scarsità di acqua dolce e danni alla produzione agricola.

Fuggire, ma senza perdere l’identità

Il governo di Tuvalu insiste sul fatto che la migrazione non significhi la fine del popolo tuvaluano. Il primo ministro Feleti Teo ha chiarito che l’obiettivo è mantenere la continuità giuridica e culturale del Paese anche in assenza di un territorio fisico. Insieme ad altri piccoli Stati insulari, Tuvalu sta promuovendo il riconoscimento della propria sovranità “in esilio”, con l’intenzione di preservare diritti come la zona economica esclusiva e la rappresentanza alle Nazioni Unite. L’esodo, quindi, non è visto come una resa, ma come una strategia di sopravvivenza. Il legame con la terra, la lingua e le tradizioni dovrà continuare anche al di fuori dei confini geografici.

Una questione globale di diritti e responsabilità
Tuvalu lancia un messaggio chiaro al mondo industrializzato: chi ha contribuito di più al cambiamento climatico deve assumersi la responsabilità delle sue conseguenze. L’iniziativa australiana è un passo in questa direzione, ma resta isolata. I rifugiati climatici non hanno ancora uno status giuridico riconosciuto a livello internazionale. L’assenza di regole condivise apre a una disuguaglianza evidente: mentre i cittadini di Tuvalu possono sperare in un reinsediamento protetto, milioni di persone in Africa, Asia e America Latina restano esposte senza alcuna tutela. La vicenda di Tuvalu diventa così un precedente politico e morale che altri Paesi dovranno affrontare nei prossimi decenni.

Verso un mondo di frontiere mobili

L’esodo da Tuvalu rappresenta la prima grande crepa in un sistema internazionale che ancora fatica a riconoscere il volto umano della crisi climatica. Il mare avanza, e con esso si sposta anche la geografia della cittadinanza, della protezione, dei diritti. La domanda che Tuvalu pone al mondo è semplice e radicale: se uno Stato può sparire per sempre, chi avrà il coraggio di ridisegnare il diritto in nome della giustizia ambientale?

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