Ufficio Studi CGIA: "Così l'inflazione mangerà i risparmi degli italiani, sforbiciata da 164 miliardi"

- di: Barbara Bizzarri
 

I dati desunti dal report della Cgia di Mestre parlano chiaro: per fronteggiare l’inflazione e il carovita, gli italiani saranno costretti a erodere i propri risparmi con una sforbiciata pari a 163,8 miliardi nel biennio 2022-2023. Una sorta di "patrimoniale" da quasi 164 miliardi di euro che a ogni singolo nucleo familiare "costerà" mediamente 6.338 euro.

Ufficio Studi CGIA: "Così l'inflazione mangerà i risparmi degli italiani, sforbiciata da 164 miliardi"

L’Ufficio Studi Cgia ha ipotizzato che i 1.152 miliardi di euro presenti nei conti correnti bancari non registrino alcuna variazione nell'arco temporale preso in considerazione, e prevede che nel biennio l'inflazione crescerà di quasi il 15% (+8,1 l'anno scorso e +6,1 quest'anno). A livello territoriale, nel biennio 2022-2023 a patire il costo più alto saranno le famiglie delle regioni più ricche: in Trentino Alto Adige la perdita di potere di acquisto medio sarà pari a 9.471 euro, in Lombardia di 7.533, in Emilia Romagna di 7.261 e in Veneto di 7.253. A livello provinciale, invece, saranno colpite, in particolar modo, le famiglie residenti a Bolzano, che subiranno un prelievo medio di 10.542 euro. Seguono Milano con 8.500, Trento con 8.461, Lecco con 8.201 e Treviso con 7.948. Le famiglie meno "colpite", invece, saranno quelle in provincia di Siracusa con 3.842 euro, Trapani con 3.595 e Crotone con 3.130. 

La CGIA pone a confronto quanto sta accadendo in questi giorni con il prelievo straordinario del 6 per mille applicato dall'allora Governo Amato sui conti correnti degli italiani. A distanza di oltre 30 anni, molti ricordano ancora con grande sdegno quanto accadde nella notte tra il 9 e il 10 luglio del 1992, una misura che costò alle famiglie italiane 5.250 miliardi di lire, ovvero 2,7 miliardi di euro. Attualizzando questo importo, il prelievo si attesta a 5,3 miliardi di euro: un "sacrificio" economico 31 volte inferiore a quello stimato dall'Ufficio studi della Cgia (163,8 miliardi di euro) nel biennio 2022-2023. Secondo l'associazione degli artigiani, ora le banche devono alzare gli interessi sui depositi.

Se 14 anni fa il tasso attivo era dello 0,75%, 2 mesi fa si è attestato allo 0,12%, "provocando" uno svantaggio per il risparmiatore dello 0,63%. In pratica, a fronte di 10 mila euro depositati nel conto corrente, rispetto al 2009 ci troviamo con 63 euro in meno in un anno.

Se, come sostengono molti esperti, entro la fine del 2023 il tasso salisse al 4%, raggiungendo lo stesso livello toccato tra il luglio 2007 e il giugno 2008, sui nostri ipotetici 10 mila euro depositati in banca perderemmo 107 euro. Non si tratta di cifre importanti, tuttavia, osserva la Cgia, se le banche tornassero a riconoscere un leggero aumento dei tassi attivi sulle somme libere depositate nei conti correnti, la clientela potrebbe almeno coprire i costi fissi.

Cosa, invece, che è stata praticata dagli Istituti sulle somme vincolate, anche se, molto spesso, per tantissimi correntisti districarsi tra una grande varietà di offerte è estremamente difficile. Uno sforzo economico, quello che dovrebbero sostenere le banche se ritoccassero all'insù i tassi sui risparmi non vincolati, tranquillamente sostenibile, visto che nell'ultimo anno le cose sono andate molto bene: i cinque più importanti Istituti nazionali - Intesa, Unicredit, BancoBpm, Monte Paschi e Bper - hanno chiuso il 2022 con utili netti pari a 12,7 miliardi, con un aumento del 65% rispetto al 2021.
Il Magazine
Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
Iscriviti alla Newsletter
 
Tutti gli Articoli
Cerca gli articoli nel sito:
 
 
Vedi tutti gli articoli