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Usa negano il visto all’ex commissario Ue sul digitale: scontro con Bruxelles

- di: Bruno Coletta
 
Usa negano il visto all’ex commissario Ue sul digitale: scontro con Bruxelles

Nel mirino di Washington Thierry Breton, l’uomo delle regole europee sul web, insieme a quattro attivisti anti-disinformazione. Scontro politico tra libertà di parola e sovranità digitale. 

(Foto: Thierry Breton).

Rubio parla di “censura extraterritoriale”, Bruxelles rivendica il Dsa. E nel mezzo restano X, le Ong anti-odio e la nuova frontiera della diplomazia digitale.

Una lista di nomi, un messaggio politico

Washington ha deciso di alzare la sbarra: divieto d’ingresso negli Stati Uniti per cinque figure europee legate, a vario titolo, al fronte che chiede regole più dure per il mondo tech. Nel gruppo c’è Thierry Breton, ex commissario Ue che ha gestito alcuni dei dossier più “caldi” sul digitale, e con lui quattro profili provenienti dall’ecosistema delle Ong che lavorano contro disinformazione, hate speech e violenza online.

Il Dipartimento di Stato inquadra la misura come risposta a una pressione “organizzata” su piattaforme americane per censurare, demonetizzare e ridurre la visibilità di contenuti ritenuti scomodi. Il lessico è netto: l’operazione viene presentata come un colpo contro un presunto “complesso globale della censura”, con la promessa che l’elenco potrebbe allungarsi.

Chi sono i quattro “volti Ong” finiti nel mirino

Oltre a Breton, la misura colpisce:

  • Imran Ahmed, alla guida del Center for Countering Digital Hate (CCDH).
  • Clare Melford, associata al Global Disinformation Index (GDI).
  • Anna-Lena von Hodenberg e Josephine Ballon, alla guida di HateAid, organizzazione tedesca che sostiene legalmente le vittime di odio e abusi online.

HateAid, in particolare, si definisce impegnata nel rafforzare i diritti nel digitale e nel supporto legale a chi subisce violenze in rete: un profilo che spiega perché lo scontro non resti confinato alla politica, ma tocchi direttamente la vita concreta (e i tribunali) di chi denuncia contenuti illegali.

La scintilla: libertà di parola o libertà dalle regole?

La frattura sta tutta in una domanda che rimbalza da anni tra le due sponde dell’Atlantico: chi decide cosa è accettabile online? Per l’amministrazione Usa, alcune iniziative europee e la rete di soggetti che le sostengono avrebbero oltrepassato un confine: interferire dall’estero con il dibattito pubblico americano.

Dall’altra parte, in Europa, la posizione è speculare: la regolazione nasce per ridurre rischi sistemici — dalla disinformazione alla violenza digitale — e per costringere le piattaforme ad assumersi responsabilità su contenuti illegali e dinamiche di amplificazione. Il cuore della contesa non è solo giuridico: è culturale e geopolitico.

Il ruolo di Breton e l’ombra lunga del Digital services act

Breton è stato uno dei volti politici più riconoscibili nella stagione in cui l’Unione europea ha rafforzato la propria architettura normativa sul digitale. Nel dibattito Usa viene spesso descritto come “architetto” della linea dura, soprattutto quando il confronto riguarda piattaforme ad altissima esposizione politica come X.

Proprio X è un capitolo che torna in più racconti: dal contenzioso tra la piattaforma e il CCDH, alle battaglie legali e mediatiche sul tema dei contenuti d’odio. È qui che la vicenda diventa un caso-simbolo: non solo che cosa si modera, ma chi può chiedere di farlo e con quali conseguenze.

La risposta: “McCarthy è tornato?”

Breton ha reagito sui social con una stoccata dal sapore storico, evocando la stagione del maccartismo e chiedendosi se la “caccia alle streghe” non sia di nuovo in circolazione. Il punto politico che rivendica è un altro: il pacchetto normativo europeo sul digitale è passato con un sostegno larghissimo delle istituzioni Ue e degli Stati membri.

In sintesi: se l’Europa rivendica una regolazione votata e condivisa, Washington rovescia il tavolo e la legge come una minaccia alla sovranità americana.

Perché la misura pesa, anche se molti europei viaggiano senza visto

C’è un dettaglio tecnico che rende la scelta ancora più significativa: gran parte dei cittadini europei entra negli Stati Uniti con il programma di esenzione dal visto. Tuttavia un divieto mirato può tradursi in segnalazioni e blocchi nei sistemi di controllo, con effetti pratici immediati per le persone colpite: viaggi, conferenze, incontri istituzionali, attività di advocacy e perfino contatti accademici.

E poi c’è il messaggio che va oltre i singoli: è una leva diplomatica inserita nel braccio di ferro più ampio tra Stati Uniti e Unione europea sulla governance del digitale.

Che cosa succede adesso: escalation o negoziato?

Due scenari si inseguono. Il primo è l’escalation: ulteriori nomi, ulteriori restrizioni, ulteriore conflitto politico intorno a disinformazione e moderazione. Il secondo è il negoziato, magari silenzioso: chiarire limiti, competenze e applicazione delle norme europee senza trasformare ogni intervento regolatorio in un caso geopolitico.

In mezzo, resta una certezza: la regolazione delle piattaforme non è più un dossier tecnico. È diventata politica estera..

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