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Pentagono e Kelly: esplode la crisi sulla disobbedienza

- di: Matteo Borrelli
 
Pentagono e Kelly: esplode la crisi sulla disobbedienza
Un video di sei veterani scatena l’ira di Trump e un’indagine su chi invita i militari a rifiutare ordini illegali, che peraltro in base alla legge Usa non solo è perfettamente legale, ma dovuta davanti a un ordine illegale.

Il richiamo alla coscienza di sei ex militari oggi parlamentari americani — tra cui il senatore Mark Kelly — sta scuotendo gli Stati Uniti. Un video pubblicato nei giorni scorsi invitava le forze armate a rifiutare «ordini chiaramente illegali». Subito dopo è partita un’inchiesta del Pentagono, che ha minacciato di richiamare Kelly in servizio per processarlo in corte marziale: l’accusa — secondo l’amministrazione — sarebbe di sedizione. Ma giuristi, ex militari e analisti denunciano un tentativo di intimidazione politica e ribadiscono che la legge militare, e la tradizione del diritto di obbedire solo a ordini legali, è dalla parte di chi parla di costituzione. Questo scontro potrebbe ridefinire i confini tra autorità esecutiva, dovere militare e libertà di coscienza.

Cosa è successo: il video e la reazione

In un video pubblicato da un gruppo di sei legislatori — tutti con un passato nelle forze armate o nei servizi di intelligence — viene rivolto un appello ai militari e agenti federali: «Potete rifiutare ordini illegali». Tra i firmatari c’è Mark Kelly, ex capitano della Marina e attuale senatore democratico. Nel filmato si afferma che la fedeltà dei soldati deve andare alla Costituzione, non agli ordini di un singolo comandante.

La risposta non si è fatta attendere. Il presidente Donald Trump ha definito il messaggio un “comportamento sedizioso punibile con la morte”, scatenando un’ondata di accuse e minacce. Il capo della Difesa, Pete Hegseth, ha avviato l’indagine del Pentagono, rivolgendo l’attenzione soprattutto su Kelly — l’unico ex militare formalmente soggetto al codice militare.

Cosa dice la legge militare negli USA

Secondo il Uniform Code of Military Justice (UCMJ), ogni ordine emanato dalle autorità militari è presunto lecito. Ma esiste un principio molto chiaro: un ordine è manifestamente illecito se impone la commissione di un reato, viola la Costituzione, le leggi federali o il diritto internazionale. In questi casi l’obbedienza non solo non è obbligatoria — è vietata.

Già in passato tribunali militari hanno respinto la difesa basata sul semplice “stava eseguendo ordini”: nel 1969, con la sentenza United States v. Keenan, un soldato venne condannato per aver ucciso un civile vietnamita su ordine, ribadendo che l’obbedienza a ordini manifestamente illegali non è una scusa valida.

I dubbi sull’accusa e la prospettiva legale

Gli esperti di diritto militare osservano che l’indagine contro Kelly rappresenta un precedente inquietante: richiamare in servizio un senatore per aver espresso un’opinione — pur in veste di ex ufficiale — rischia di aggirare i principi di separazione dei poteri e libertà d’espressione.

Inoltre, la normativa di tutela per chi denuncia ordini illegali — come la Military Whistleblower Protection Act — potrebbe offrire protezione legale a militari che segnalino comportamenti illeciti da parte di superiori.

Le parole di chi è sotto accusa

Kelly non si è nascosto: «Ho dato troppo a questo Paese… per essere zittito da bulli che pensano solo ad accrescere il loro potere anziché proteggere la Costituzione». Ha definito l’inchiesta come un tentativo di intimidazione politica e ha promesso di non tacere.

Dal fronte opposto, Hegseth ha accusato il video di minare la disciplina delle forze armate: secondo lui l’appello alla disobbedienza «mette in pericolo la sicurezza dei militari combattenti».

Perché conta: implicazioni per democrazia, diritto e militari

La vicenda assume una valenza ben oltre lo scontro personale. Riapre un dibattito cruciale sui limiti dell’autorità, sul ruolo della Costituzione e sul diritto di coscienza dei cittadini-soldato. Se il Pentagono riuscisse a processare un senatore per la sua partecipazione a un video politico, si aprirebbe un pericoloso precedente per la libertà d’espressione e per l’indipendenza del Parlamento. Molti analisti temono che si tratti di un avviso intimidatorio rivolto a chiunque osi criticare mosse militari o politiche del governo. Al tempo stesso il caso riafferma la rilevanza — anche oggi — dei principi stabiliti dopo i processi di Norimberga: obbedire non basta, quando l’ordine è chiaramente criminale.

È una partita sulla verità, sulla responsabilità e sulla democrazia. E chi crede nella Costituzione — militari e non — ha il dovere di seguirla, anche contro il rumore delle armi, delle minacce e del potere.

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