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Credimi, pmi: è il momento giusto per investire nel digitale

- di: Barbara Leone
 
Credimi, pmi: è il momento giusto per investire nel digitale
Sono il motore della nostra economia: più di duecentomila piccole e medie imprese, che da sole generano quasi la metà del fatturato italiano. Ve da sé che il loro stato di salute finisca per influenzare la vita di tutti noi. In questo senso è di fondamentale importanza il processo di digitalizzazione, che con la pandemia ha subìto un’improvvisa quanto provvidenziale accelerata. Solo grazie ad essa, infatti, il sistema Italia non è andato completamente a picco. Secondo l’Istat, infatti, nel 2021 il 60,3% delle pmi italiane ha raggiunto almeno un livello base di intensità digitale. Molte di loro poi hanno avviato, ove possibile, canali di online shopping per non interrompere le vendite. Buono anche l’utilizzo del canale fintech per richiedere i prestiti garantiti dallo Stato. Dati, questi, che fanno ben sperare per il futuro. Dal momento che, stando ad uno studio di Markets and Markets, la spesa per la digitalizzazione in ambito aziendale passerà da 521 a 1.250 miliardi di dollari a livello globale entro il 2026, con un incremento medio anno su anno del 19%. Da noi c’è ancora qualche difficoltà, dovuta principalmente al fatto che il tessuto imprenditoriale del nostro Paese è formato per più del 90% da aziende piccole e medie. Come ben sottolinea Alessandro D’Arpa, Chief Product and Data Officer and Board Member di Credimi (il più grande digital lender per le pmi in Europa), in Italia per quasi due aziende su tre l’infrastruttura digitale resta un problema concreto. Secondo il Desi (Digital economy and society index), l’indice ideato dalla Commissione Europea per misurare i progressi compiuti dai Paesi Ue in termini di transizione digitale, la digitalizzazione delle pmi in Italia è a livelli inferiori alla media europea. Questo nonostante nel 2021 l’Italia si sia collocata al 20esimo posto fra i 27 Stati membri dell’Ue, rispetto al 25esimo dell’edizione precedente. Una posizione ancora molto bassa, a testimonianza del fatto che non vi è stata alcuna “rivoluzione digitale” portata dalla pandemia. Uno dei nodi del nostro Paese - prosegue D’Arpa - sembra essere quello delle competenze: nel Desi 2020 l’Italia era ultima nella dimensione del capitale umano, e quest’anno siamo 25esimi su 27 Stati. Inoltre, solo il 15 % delle imprese italiane eroga ai propri dipendenti formazione in materia di tecnologia informatica, cinque punti percentuali al di sotto della media Ue.

A questo punto tocca dare una svolta. Le imprese, anche quelle più piccole, possono avvantaggiarsi degli strumenti digitali che sono oggi presenti sul mercato per rendersi più competitive, ottimizzare i processi e crescere: anche se spesso questi strumenti sono visti come dei plus, qualcosa di aggiuntivo che si può avere o meno, ma che non incide davvero sul proprio core business, i dati dimostrano che non è così. Le analisi dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi del Politecnico di Milano - sostiene ancora D’Arpa - evidenziano come le realtà più mature dal punto di vista della digitalizzazione ottengano performance economico-finanziarie migliori: in media +28% di utile netto, +18% di profitti, +11% di EBITDA. Ecco perché anche in Italia le imprese, specialmente le piccole e medie, dovrebbero impegnarsi per cogliere davvero questa sfida, portando la digitalizzazione in ogni settore dell’azienda: dalla presenza online, all’amministrazione e risorse umane, alla gestione degli aspetti legali, a quella dei flussi di cassa e del bilancio, ai finanziamenti, alla digitalizzazione delle linee di produzione. Quest’ultima, ad esempio, va di pari passo con l’efficientamento dei consumi che comporta una forte diminuzione delle spese di produzione. Un caso concreto che illustra quanto la transizione digitale possa essere utile - ricorda D’Arpa - è lo studio condotto da Porche Consulting, società di consulenza del Gruppo automobilistico tedesco, secondo il quale una gestione predittiva dei macchinari (attraverso le tecnologie digitali) genera un incremento nell’utilizzo degli asset industriali che tocca punte del 30%. Grazie a interventi mirati, è possibile infatti allungare i periodi di attività di macchine e macchinari sottoposti questo tipo di manutenzione. 

La conclusione è una: non si può più procrastinare oltre. Per le pmi - conclude D’Arpa - è giunto il momento della svolta. E quel momento è adesso, che vuol dire cavalcare l’onda digitale e cambiare passo. Perché le opportunità offerte dal Pnrr saranno una guida importante per le aziende per tutto il 2022. Nei prossimi anni, infatti, grazie al Pnrr (che si affianca al Fondo Complementare) verranno messi a disposizione delle aziende italiane quasi 50 miliardi di euro da investire sull’infrastruttura digitale. Danari che hanno un solo obiettivo: aiutare le pmi ad intraprendere quel percorso di evoluzione tecnologica che consentirà loro di riuscire ad essere più forti e competitive sul mercato. E quindi: ora o mai più!
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