Il 16 giugno Nagel contro il fronte Caltagirone-Delfin, tra fondi globali e manovre di potere.
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Il 16 giugno a Milano andrà in scena un’assemblea “storica” di Mediobanca, con un’affluenza prevista superiore all’80% del capitale. L’ordine del giorno? Una public exchange offer (ops) da 6,3 miliardi di euro per conquistare Banca Generali, operazione cardine nel grande scacchiere della finanza italiana
Affluenza record e schieramenti
Secondo le stime, l’assemblea vedrà una concentrazione insolitamente ampia di azioni: oltre l’80%, forse addirittura l’82% . Un risultato che crea gli auspici migliori per il team guidato da Alberto Nagel, l’AD di Piazzetta Cuccia, sostenuto solitamente dai grandi fondi internazionali (Calstrs, Sba Florida, Praxis, Calvert, New York City Comptroller) e dai principali proxy advisor come Iss, Glass Lewis e Pirc.
Glass Lewis ha raccomandato il “sì” all’ops, definendola “un’opportunità significativa per gli azionisti”. Lo stesso hanno fatto Calvert e il New York City Comptroller, mentre un gruppo italiano con il 11,9% (tra cui Banca Mediolanum) si è pubblicamente schierato a favore.
Il fronte critico: Caltagirone, Delfin e casse previdenziali
Ma non manca chi sfida Nagel. Francesco Gaetano Caltagirone, con il 10% circa, ha chiesto di rimandare l’assemblea, lamentando carenze informative e l’incertezza sugli accordi di partnership con Generali e Banca Generali.
Delfin, con quasi il 20%, e alcune casse previdenziali (Enpam, Enasarco, Inarcassa) potrebbero astenersi – un'astensione che, de facto, varrebbe come voto contrario.
Il fronte “critico” vale circa il 35% del capitale, mentre un altro 2–3% è in bilico, tra Delfin, la famiglia Del Vecchio e gli enti previdenziali. Per far passare l’offerta, a Nagel serve la maggioranza “sì” dei presenti, ovvero oltre il 50% del capitale rappresentato.
Implicazioni strategiche
L’ops non è un’operazione secondaria: punta a far decollare un polo di wealth management da 210 miliardi di TFA, generare 4,4 miliardi di ricavi, una ROTE sopra il 20% e ridurre la dipendenza da Generali, da cui arriveranno circa 6,5 miliardi vendendo la quota del 13% nel gruppo assicurativo
Per Nagel è un bivio: restare un gruppo indipendente focalizzato sul private banking o finire assorbito in un progetto “commerciale” – potenzialmente da Mps, che l’ha vista come un’occasione complementare alla sua offensiva su Mediobanca .
Lo sfondo più ampio: Mps e Unicredit
Mps vede nell’ops un alleato: possedere Banca Generali rafforzerebbe la potenziale fusione tra Mps e Mediobanca. Intanto, oggi il Tar del Lazio si pronuncerà su Banco Bpm e su un eventuale stop all'ops di Unicredit, congelato dal 21 maggio per 30 giorni dalla Consob. L’esito potrebbe sbloccare l’offerta di Andrea Orcel, ma le pressioni delle organizzazioni sindacali come Uilca e First Cisl sono fortissime: temono esuberi ben superiori ai 209 annunciati da Unicredit.
Più che un voto, un referendum
Il voto del 16 giugno non è solo un passaggio regolamentare, ma un referendum sulla visione futura di Mediobanca, tra identità indipendente e lotta di potere verso operatori più aggressivi. Da un lato, i grandi fondi globali e i proxy sono convinti che questa sia la direzione vincente. Dall’altro, il gruppo Caltagirone-Delfin-minoranze indecise chiede più trasparenza. Un voto “sul filo”, da seguire con il fiato sospeso.