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Le nuove regole del corpo: chi decide cosa vuol dire essere bella?

- di: Marta Rosati
 
Le nuove regole del corpo: chi decide cosa vuol dire essere bella?
Dalla simmetria perfetta ai selfie imperfetti: le donne riscrivono i canoni e rivendicano il diritto di scegliere il proprio volto pubblico.
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La bellezza non è più un dogma: è una scelta personale
Un tempo bastava una taglia 40, zigomi scolpiti e gambe lunghissime. Oggi la bellezza femminile non ha più un solo volto. È un mosaico di tratti, scelte, storie, imperfezioni. Nel 2025, quella che un tempo era una verità universale – l’idea di essere “bella” – si è frantumata in una pluralità di narrazioni personali.
Secondo una ricerca condotta da Philips Lumea e AstraRicerche il 54,8% delle donne italiane identifica la bellezza con l’autenticità, rifiutando gli stereotipi tradizionali. Solo una donna su dieci si riconosce nei modelli dominanti promossi da social e pubblicità. Eppure, più della metà dichiara di sentirsi giudicata, condizionata o invisibile proprio a causa del proprio aspetto.
“La bellezza non è un obiettivo, è un linguaggio”, ha dichiarato Laura Brioschi, modella curvy e attivista del movimento BodyPositive, intervenendo al Festival della Cultura Digitale di Milano il 15 maggio scorso. “Smettiamo di inseguire un’idea esterna e iniziamo a raccontarci per come siamo”.
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Social media: specchio, distorsione o rivoluzione?
I social network sono diventati l’arena principale della rappresentazione estetica. Se da un lato offrono a milioni di donne la possibilità di mostrarsi in modi alternativi ai canoni tradizionali, dall’altro alimentano nuove insicurezze. Il concetto di “bellezza da like” – costruita, filtrata, ritoccata – continua a esercitare un’influenza profonda sull’autostima femminile.
Secondo un’indagine di GlobalWebIndex aggiornata a marzo 2025, il 68% delle giovani tra i 16 e i 25 anni ritocca le proprie foto prima di pubblicarle. Non per insicurezza, ma perché “è lo standard visivo della piattaforma”. Il confine tra espressione di sé e auto-oggettivazione diventa così sempre più sottile.
Come spiega la psicoterapeuta Chiara Volpato (Università Bicocca), “non è più solo il corpo a essere giudicato, ma l’intera identità digitale: il viso, l’angolazione, la luce. È una nuova forma di performance sociale, in cui l’aspetto estetico funziona da moneta relazionale”.
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Effetto alone: se sei bella ti credono anche competente
La bellezza continua a influenzare la percezione sociale in modo profondo. L’“effetto alone”, un noto bias cognitivo studiato fin dagli anni ‘20, mostra che l’aspetto fisico attraente genera valutazioni più positive anche su tratti non visibili, come l’intelligenza o l’affidabilità.
Una ricerca dell’Università di Stanford pubblicata su Psychological Science ha dimostrato che, a parità di curriculum, le candidate percepite come più attraenti ricevono il 23% di callback in più nei colloqui. Il paradosso? Quando le donne appaiono “troppo curate”, sono giudicate anche meno autentiche e più opportuniste.
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Body positivity, ma non solo: il ritorno della body neutrality
Il movimento body positive ha conquistato spazi, ma anche subito una virata commerciale. Marchi come Dove, Nike, Zalando hanno promosso campagne di inclusione corporea, ma spesso lasciando fuori le diversità più “scomode”: disabilità, invecchiamento, cicatrici, pelle non chiara.
Oggi molte donne si identificano nella body neutrality, una corrente che propone di non misurare il valore personale sul parametro estetico. “Il mio corpo è uno strumento, non un ornamento”, dice Sophie Hagen, attivista danese che ha lanciato il podcast Fat Frontline, molto seguito anche in Italia.
Nel suo TEDx a Copenaghen, Hagen ha affermato: “Non dobbiamo per forza amare ogni centimetro del nostro corpo. Ma possiamo imparare a non odiarlo. La vera rivoluzione è ignorare la bellezza come criterio di validazione sociale”.
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IA e filtri, la nuova chirurgia estetica
L’uso di app e strumenti AI per modificare i tratti del volto è ormai pervasivo. La startup americana Facetune AI, lanciata nel 2024, ha superato i 60 milioni di utenti attivi mensili, molti dei quali minorenni. I filtri non alterano solo l’immagine: alterano la percezione di sé.
Uno studio pubblicato su arXiv (“Psychological Effect of AI driven marketing tools for beauty enhancement”) ha rilevato che l’utilizzo regolare di app di fotoritocco aumenta del 37% il rischio di dismorfofobia nei soggetti under 30.
La presidente del Consiglio Nazionale delle Psicologhe, Margherita Morelli, lancia l’allarme: “L’estetica artificiale sta generando un disturbo nuovo: l’ansia da realtà. Le persone si confrontano con versioni digitali di se stesse che non possono replicare nella vita reale. È una forma perversa di alienazione”.
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Canoni che si rompono, immaginari che si aprono
Anche la moda e la pubblicità iniziano – lentamente – a cambiare. La modella albina Thando Hopa, la first lady transgender del Brasile Duda Salabert, la cantante con vitiligine Winnie Harlow, sono solo alcune delle donne che stanno riscrivendo il linguaggio del corpo nelle narrazioni pubbliche.
In Italia, la fashion week di Milano ha ospitato per la prima volta una sfilata “no taglie”, con modelle che vanno dalla 36 alla 52. “La bellezza sta tornando alle persone, non resta più intrappolata nei numeri di un’agenzia”, ha dichiarato la designer Marina Spadafora.
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Bellezza è potere, se la scegli tu
Nel 2025 la bellezza può ancora essere un potere. Ma solo se è scelta, non imposta. Le donne stanno compiendo un’operazione culturale radicale: riprendersi il diritto di definirsi belle a modo proprio. Con capelli bianchi o rasati, trucco marcato o volto struccato, pelle liscia o vissuta.
Come scriveva Naomi Wolf ne Il mito della bellezza (1991), “la bellezza non è universale, né immutabile. È politica”. Oggi quella politica è nelle mani delle donne stesse.

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