Letta: come distruggere il Pd in poche mosse e vivere felice

- di: Diego Minuti
 
Probabilmente Enrico Letta riuscirà nell'impresa disperata di essere considerato alla base dei problemi del PD ben più di Matteo Renzi che, da segretario del partito, ne aveva avviato il lento processo di dissoluzione. Non è una battuta ad effetto perché le scelte di Letta potrebbero determinare non tanto un arretramento in termini elettorali del partito (che ha base solida), quanto la certificazione che non sia più un polo di aggregazione per i riformisti, ma l'esito di un malriuscito tentativo di mettere insieme un insieme indistinto di interessi e derive ideologiche in funzione
anti-centrodestra.

Elezioni 2022: Letta continua a guidare il PD in modo poco convincente

Simili esperimenti in passato non hanno mai avuto molta fortuna, con la sola eccezione dell'Ulivo, che però si avvaleva della capacità di Romano Prodi di incarnare e aggregare tutte le anime del riformismo, a cominciare da quello di profilo economico. Una figura che riuscì a mettere insieme le anime di coloro che temevano Berlusconi come fosse il diavolo e, sull'altare della comune battaglia, disposte a fare passi indietro, sia in termini di ideologia che di richieste concrete.
Anche Letta ha ragionato in quest'ottica e, pure se i sondaggi anticipano già una netta vittoria del centro-destra, bisognerà aspettare la sera del 25 settembre per vedere chi e in che misura avrà avuto ragione.

Però, pure se condizionati dall'incertezza che deve sempre sovrintendere alle elezioni politiche, qualche considerazione la si deve pure fare su come Enrico Letta e alcuni dei suoi collaboratori abbiamo spianato la strada a Giorgia Meloni, frontrunner del centro-destra.
La prima è ovviamente la scelta degli alleati, in cui Letta ha fatto delle scelte strategiche che, ancora oggi, restano incomprensibili perché di cortissimo respiro.

Se il comandamento, all'inizio delle trattative con i potenziali alleati, era prendere a bordo quanti più partiti o movimenti possibile, esso doveva avere dei paletti, a cominciare dal realismo. Perché sacrificare un accordo con Calenda per imbarcare Fratoianni e Bonelli è, dal punto di vista elettorale, un'operazione a perdere per un paio di semplicissime considerazione: Sinistra Italiana e Verdi sono formazioni politiche fortemente ideologicizzate, cosa che elettoralmente ha sempre un ritorno relativo perché si tratta di partiti che hanno un seguito nazionale, ma con un radicamento sul territorio certo non potenzialmente capace di stravolgere l'esito di una votazione.

Altra ''piccola'' implicazione, che comunque Letta deve pure avere valutato con attenzione: l'operazione Verdi e Sinistra Italiana (insieme ad Articolo 1) ha comportato che alcuni collegi considerati sicuri vadano ad esponenti delle tre formazioni per garantire loro ingresso in Parlamento e rappresentanza e, quindi, dare attuazione pratica all'accordo. Ma questo ha comportato che alcuni dei maggiorenti Dem, quando non cancellati, sono stati candidati in collegi ad alto rischio o messi in posizioni di rincalzo del proporzionale, dove i primi posti in lista sono stati riservati alle superstar del partito che hanno avuto tutte le garanzie possibili. Che questo sia conseguenza della riduzione del numero dei parlamentari e che il taglio sia stato votato da altri che non lui, Letta lo ha detto subito, apparendo però una affermazione politicamente debole oltre che inaccettabile, volendo segnare una discontinuità con il passato che forse sarebbe stato meglio rimandare ad altri tempi.

E come poi rintuzzare alle accuse, arrivate da Calenda and friends, sul fatto che Letta ha siglato un accordo strategico con chi ha ripetutamente votato contro il governo Draghi, alla cui fantomatica agenda il segretario dem fa riferimento come stella polare del suo agire politico?
Con queste mosse il PD di fatto ha scelto di non avere un ''centro'' della coalizione, puntando tutto sulla sinistra. Giusto o sbagliato, lo diranno le urne. Ma di certo oggi si può dire, con un margine di certezza, che un certo elettorato si andrà a trovare candidati da votare non nel perimetro di alleanze voluto da Letta.
Lo stesso segretario poi, quando tutto sarà fatto e si passerà alla conta di eletti e no, dovrà valutare se le sue scelte dei candidati siano state equilibrate oppure fatte sulla scia di un momento emozionale.

Perché a qualcuno dovrà spiegare quali siano stati i criteri per i quali ha candidato qualcuno dei ''grandi vecchi'' a discapito di altri; se la scelta di capilista 'under 35' sia stata frutto di una considerazione politica o di comunicazione elettorale; se era il caso di mettere a rischio l'elezione di personalità che tanto hanno dato al Partito (e, verrebbe da dire nel caso di Enzo Amendola, al Paese) per fare spazio a personaggi di minore spessore politico.

E, infine, Letta dovrà chiarire se era veramente il caso, tra taglio dei parlamentari e difficoltà oggettive, di consentire candidature che per soli motivi di opportunità sarebbe stato meglio evitare. Parliamo delle ''mogli di'', al netto delle loro indubbie capacità, per le quali è stato trovato posto in collegi abbastanza sicuri. Parliamo, lo ripetiamo, di opportunità, senza entrare nel merito del valore dei singoli, anche se ci rendiamo conto che discutere di certi argomenti a colazione e in pigiama è meglio che farlo in Commissione.
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