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Gaming e pubblicità, la fiera dell'ipocrisia

- di: Redazione
 
Gaming e pubblicità, la fiera dell'ipocrisia
Se c'è una cosa che, in politica, nella top ten di quelle da cancellare se la batte con la disonestà, questa è l'ipocrisia, che spesso ammanta, di speciose interpretazioni, argomenti che ne meriterebbero ben altre. Perché è grazie all'ipocrisia che non si pensa di risolvere un problema alla radice, ma colpendone aspetti secondari, con azioni che però servono ad accrescere la (presunta) immagine positiva.

Gaming e pubblicità, la fiera dell'ipocrisia

Di casi se ne potrebbero citare a decine, se non di più. Ce n'è uno che però ciclicamente si ripresenta e che merita prese di posizione che fanno riflettere, perché sono funzionali, peggio strumentali e non guardano alla reale essenza delle cose. Prendiamo la pubblicità che è stata negata alle società di gaming - ma più in generale a tutte quelle legate al gioco - perché, si è detto e sostenuto, attraverso di essa si rischia di aggravare una piaga sociale come la ludopatia. Fine bellissimo, che tutti dobbiamo sottoscrivere. ma consentiteci di dire che la pubblicità di questa o quella società di scommesse, se fatta nel rispetto delle norme, anche europee, ha infinitesimali possibilità di generare interesse al gioco a chi non se ne è mai occupato.

Vogliamo solo dire che chi scommette oggi lo fa senza che subisca l'influenza di un messaggio pubblicitario. Anche perché, come ha detto l'Unione europea in una raccomandazione del 2014, essa ''non può avere lo scopo di incoraggiare la propensione al gioco, ad esempio banalizzando il gioco o aumentandone l’attrattività attraverso messaggi pubblicitari accattivanti che forniscano informazioni errate sulle possibilità di vincita. Tra i divieti si ricordano quelli riguardanti i messaggi che negano i rischi del gioco, che presentano il gioco come un modo per risolvere i problemi finanziari, che prospettano che la competenza del giocatore possa permettere di vincere sistematicamente, che facciano riferimento al credito al consumo ai fini del gioco''.

Quindi, ci chiediamo, il messaggio pubblicitario che si muove entro questi confini perché non viene permesso? In Italia, invece, si è scelta la via decisionista, negando tutto, anche le pubblicità che si possono limitare solo a dire ''Mi chiamo Giocogiochino e accetto scommesse, con queste modalità''. Cioè promuovere il prodotto, senza modificare la realtà, che poi sono le probabilità di vincere, senza gonfiare le percentuali in modo da fare da amo da pesca nell'oceano dei giocatori, reali o potenziali.
E invece no, nessun pubblicità, anche lecita, anche non ingannevole. Se questo fosse un principio generale - la tutela di ogni singolo componente della nostra comunità - dovrebbe riguardare anche altri campi. Ma siamo veramente convinti che questo corrisponda alla realtà?

Se fosse applicato a tutti i settori, non vedremmo più spot in televisione che promuovono questo o quel liquore perché in nessuno di essi viene spiegato che l'abuso di alcool può provocare, in chi ne abusa, problemi fisici gravissimi, tali da generare cause di morte (le statistiche sull'alcolismo sono a disposizione di tutti). Allo stesso modo, andando per casi assurdi, si dovrebbero vietare quelle pubblicità che, pure se con una spolverata di invito alla prudenza, ti dicono che se compri questa o quell'autovettura ti metti alla guida di un mostro che, quando stuzzicato, può scatenare centinaia di cavalli. Quindi, come detto all'inizio, ci siamo fatti travolgere dall'ipocrisia perché pensiamo che chi gioca e scommette è un malato, mentre chi si sfonda il fegato a colpi di whisky o gin è un invece un bon vivant....
Questo Stato arcigno, che si aggrappa alle norme e si chiude gli occhi davanti all'evidenza, fa anche questo, negando che gli importi di pubblicità che rispettino tutti i codici etici possano entrare nel circuito virtuoso che sostiene la filiera della comunicazione, da quella cartacea a quella online. Perché poi c'è anche un altro piccolo particolare, perché se vieti la pubblicità, mi dovresti spiegare perché consenti che società di gaming aggirino i divieti offrendo nei loro siti informazioni su tutti gli sport, contestualmente promuovendosi, peraltro sempre nel rispetto delle regole.

Eppure si veglia affinché non si faccia nessuna promozione, e magari chi cerca di aggirarla viene sanzionato (le pene sono molto pesanti). Quando, invece, si permette a decine di aziende fantasma di promuovere dei farmaci miracolosi, che con una sola compressa guariscono tutto, dall'acne alle mutilazioni, senza che si intervenga con la necessaria determinazione. Eppure parliamo di un settore, quello dei giochi, che allo Stato dà tanto. Basti pensare che, lo scorso anno, finita di scontare la ''condanna'' della pandemia, i giochi hanno fruttato allo Stato la bellezza di 10,3 miliardi di euro. Siamo ancora dietro al 2019 (11,3 miliardi), ma nettamente avanti rispetto al 2021 (+22%). Secondo le stime di Agipronews, nel 2022 i giocatori hanno speso oltre 19,6 miliardi di euro, +2% rispetto ai 19,3 miliardi del 2019 e +28% rispetto ai 15,4 miliardi dello scorso anno.
Quindi la gente gioca e continuerebbe a farlo anche senza la pubblicità, perché i giocatori sono meno permeabili di quello che una certa politica sostiene. Giocherebbero di più se vedessero una società sponsorizzare una squadra di calcio o una manifestazione culturale? La risposta è talmente ovvia da apparire banale.
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