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La mina degli enti locali e del debito commerciale per i conti pubblici

- di: Paolo Gesa, CEO di Officine CST
 
La mina degli enti locali e del debito commerciale per i conti pubblici

A poco più di un anno dall’inizio della stretta monetaria, si può dire che gli effetti sulla liquidità del sistema siano evidenti. Gli impieghi delle banche alle imprese sono diminuiti di oltre il 6%, le erogazioni di nuovi finanziamenti alle PMI garantite dallo Stato sono crollate di oltre il 25% rispetto al 2022 e di quasi il 60% rispetto al 2021, il saldo del conto corrente degli italiani in banca è sceso di 100 miliardi in 1 anno. Infine, la finanza pubblica sta assorbendo liquidità dal sistema. Secondo l’UPB, nel 2023 le emissioni lorde di titoli di Stato saranno 437 e addirittura 480 miliardi l’anno prossimo; quelle nette - cioè, per finanziare il fabbisogno aggiuntivo di cassa, non per sostituire precedenti emissioni - rispettivamente 118 e 145 miliardi. Lo Stato fa concorrenza a banche ed asset manager: il successo delle emissioni di btp per il retail in sostituzione di investitori stranieri non è detto che sia una buona notizia per l’economia, perché per coprire il fabbisogno pubblico drena risorse che avrebbero avuto un impiego alternativo nel settore privato.

La mina degli enti locali e del debito commerciale per i conti pubblici

Negli ultimi anni l’abbondante liquidità e gli ampi margini di finanza pubblica hanno consentito di arginare due problemi cronici del nostro sistema, il pagamento dei crediti commerciali della PA e la stabilità finanziaria degli enti pubblici, che oggi rischia di ripresentarsi. I corposi trasferimenti dallo Stato centrale hanno consentito di ridurre lo stock di debiti commerciali a circa 42 miliardi (erano 53 nel 2018) e di abbassare a poche unità all’anno i comuni in dissesto finanziario. Ma ora la situazione sta drammaticamente cambiando; i cordoni della borsa sono più stretti, e non pare esserci lo spazio per continuare a finanziare a debito i deficit correnti delle PA, tramite “anticipazioni di cassa” da restituire con mutui già in partenza insostenibili, in quanto a monte non vengono affrontate le cause dello stress finanziario, in primis l’incapacità di riscossione dei tributi locali.

I segnali preoccupanti non mancano. Ad inizio ottobre, ci sono 824 comuni che non hanno ancora approvato il bilancio di previsione 2023 e 356 che non hanno approvato neanche il consuntivo 2022. In Sicilia, nei giorni scorsi 192 comuni (il 49,4% del totale) sono stati commissariati dalla Regione. Dall’osservatorio di Officine CST, il rischio di una nuova ondata di dissesti, a spese dei fornitori dei comuni che impiegheranno anni per recuperare solo una parte di quanto dovuto, è al massimo degli ultimi 5 anni.

Non dimentichiamo poi che al 1° gennaio 2024 scadranno i termini per il blocco delle azioni esecutive nei confronti del debito sanitario della Calabria, che ammonterebbe a circa 1 miliardo, e che dovrà essere saldato entro quella data per evitare la corsa di tutti i creditori, contemporaneamente, all’esigua cassa delle asl calabresi. Infine, nei giorni scorsi è stata pubblicata la bozza di Regolamento Europeo per il contrasto dei ritardi di pagamento delle transazioni commerciali, che si applica (anche) alle transazioni G2B.

Il Regolamento supera la Direttiva 2011/7/EU ed è volta a introdurre meccanismi ulteriori di penalizzazione che inducano i committenti a pagare puntualmente i propri fornitori. Che già oggi sono pesanti, ma non sono un deterrente sufficiente. Insomma, il giorno in cui lo Stato dovrà saldare i debiti con i propri fornitori si sta avvicinando, un bel grattacapo aggiuntivo nell’attuale contesto di mercato.

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