Il mondo della musica dice addio a Brian Wilson, il co-fondatore dei Beach Boys e uno dei più grandi innovatori del pop del Novecento. Wilson si è spento all’età di 82 anni, lasciando dietro di sé un’eredità creativa che ha rivoluzionato il concetto stesso di canzone, fondendo armonie vocali complesse, sperimentazione in studio e una sensibilità melodica ineguagliabile.
Brian Wilson, addio al genio dei Beach Boys: muore a 82 anni il padre del pop californiano
Con lui se ne va non solo un artista, ma una figura culturale che ha dato forma e suono al sogno americano degli anni Sessanta, trasformando il surf, le spiagge e la giovinezza in simboli eterni della musica leggera. I Beach Boys non sarebbero mai esistiti senza la sua mente visionaria, e l’album Pet Sounds resta ancora oggi un monumento alla perfezione pop.
Il genio fragile che ha reinventato la musica da studio
Wilson non è stato solo un cantante o un compositore, ma un vero architetto del suono. Mentre il resto del mondo scopriva l’elettricità del rock, lui già sperimentava con arrangiamenti orchestrali, sovraincisioni maniacali e un uso creativo dello studio di registrazione come strumento compositivo. Già nei primi anni Sessanta, le sue produzioni – da Surfer Girl a In My Room – mostravano una profondità emotiva e musicale inedita per l’epoca. Ma è con Pet Sounds (1966) che la sua visione raggiunge l’apice: un disco malinconico, stratificato, intimo e avanguardista, che ha influenzato generazioni di artisti da Paul McCartney a Thom Yorke. In quell’album, ogni suono, ogni silenzio, ogni riverbero diventano parte di una narrativa interiore.
La lotta con il dolore e la psiche: l’altra faccia del talento
La vita di Wilson è stata anche una lunga battaglia contro i propri demoni. Colpito da gravi disturbi psichici, tra cui schizofrenia e depressione, e afflitto da dipendenze che hanno segnato per anni la sua parabola artistica, il musicista californiano ha vissuto decenni di isolamento, terapie controverse e crolli emotivi. Il successo planetario dei Beach Boys si è intrecciato con il suo progressivo allontanamento dal palco e dallo stesso gruppo, mentre i suoi capolavori – spesso incompresi all’uscita – venivano rivalutati solo anni dopo. La sua storia è diventata emblema del prezzo altissimo che il genio può pagare quando non trova protezione, equilibrio o comprensione. Eppure, anche nei momenti più oscuri, Wilson non ha mai smesso di scrivere e registrare, lasciando tracce di bellezza nel caos.
Una voce che ha formato l’immaginario collettivo americano
Brian Wilson ha messo in musica l’innocenza e il disincanto di un’intera generazione. Le sue melodie evocavano la leggerezza del primo amore, la nostalgia dell’infanzia, ma anche la malinconia del passaggio all’età adulta. Con i Beach Boys ha reso immortali brani come God Only Knows, Good Vibrations, Wouldn’t It Be Nice, che ancora oggi sono colonna sonora di film, ricordi e momenti privati. I suoi cori stratificati, le sue armonie fluttuanti e la sua scrittura viscerale hanno plasmato il pop californiano, aprendo la strada a una nuova estetica musicale: più emozionale, meno immediata, più interiore. Il suo modo di intendere la canzone ha influenzato Beatles, Pink Floyd, Flaming Lips, e decine di band contemporanee.
Un’eredità che attraversa generazioni
Wilson aveva continuato a esibirsi fino a pochi anni fa, seppur con difficoltà fisiche e psicologiche. Ogni suo concerto era un tributo vivente a ciò che aveva rappresentato, con fan di ogni età accorsi per ascoltare dal vivo un pezzo della storia della musica. I tributi, nelle ore successive alla notizia della sua morte, sono arrivati da ogni angolo del mondo: da artisti pop e indie, da compositori classici, da critici musicali e da semplici ascoltatori che in quelle melodie avevano trovato conforto. Il silenzio lasciato dalla sua scomparsa è assordante, ma le sue canzoni continueranno a parlare: di libertà, di bellezza, di dolore e di sogni. Brian Wilson non è stato solo un musicista, ma un luogo dell’anima in cui molti continueranno a rifugiarsi.