Altro che Cina o dollaro globale: per Galli e Geraci il disavanzo commerciale degli Stati Uniti nasce da decenni di risparmio insufficiente e bilanci pubblici in rosso.
(Foto: Giampaolo Galli, Direttore dell'Osservatorio Conti Pubblici Italiani)
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I conti (sbagliati) dell’America di Trump
Il grande deficit commerciale degli Stati Uniti? Colpa della Cina, del dollaro valuta globale, e dei capitali stranieri che invadono l’economia americana. È questa – ricorda l’Osservatorio Conti Pubblici Italiani (CPI) – la narrazione dominante nell’America trumpiana, e l’alibi perfetto per le politiche protezionistiche rilanciate dalla Casa Bianca. Ma la realtà, come mettono in luce Giampaolo Galli e Nicolò Geraci in un’indagine dettagliata, è molto più sfaccettata. E per molti versi, opposta. Attribuire le responsabilità del disavanzo commerciale Usa a fattori esclusivamente esterni, spiegano gli autori, “è fuorviante”. I numeri, la storia e gli andamenti di lungo periodo raccontano un’altra verità: il problema è interno.
Gli Stati Uniti non sono spettatori passivi
Come puntualizza il report dell’Osservatorio CPI, il punto centrale è che “i destini economici di una grande potenza come gli Stati Uniti non possono essere considerati semplicemente il frutto di decisioni prese altrove”. Eppure, il dibattito pubblico – alimentato in particolare dalla propaganda trumpiana – continua a sostenere che le cause principali del deficit commerciale siano esterne: l’ingresso della Cina nel WTO, il ruolo del dollaro come moneta di riserva globale, gli afflussi di capitali in cerca di un porto sicuro.
Ciascuno di questi elementi ha un fondamento, come riconoscono Galli e Geraci, ma l’idea che gli Usa siano vittime innocenti di un meccanismo globale appare del tutto infondata. Anzi, l’indagine dell’Osservatorio CPI documenta come i grandi squilibri abbiano una radice profonda nella gestione interna dell’economia statunitense, e in particolare nella dinamica del risparmio.
Dagli anni d’oro al tracollo: una ricostruzione storica
Galli e Geraci ripercorrono in dettaglio l’evoluzione della bilancia commerciale americana dagli anni Quaranta a oggi. Dopo la Seconda guerra mondiale, gli Usa sono il perno del sistema di Bretton Woods, con un dollaro forte e convertibile in oro. In questo contesto, le esportazioni americane dominano il commercio internazionale, e la bilancia commerciale resta in attivo per decenni. Solo con la crisi degli anni Settanta – fine del sistema aureo, inflazione galoppante, shock petroliferi – iniziano a manifestarsi i primi disavanzi. Ma è solo dal 1975 che il saldo commerciale dei beni si stabilizza in territorio negativo.
I deficit gemelli e l’effetto Reagan
Negli anni Ottanta, come ricostruisce il report dell’Osservatorio, la combinazione fra alti deficit pubblici e apprezzamento del dollaro spinge l’economia verso squilibri strutturali. È l’epoca dei “deficit gemelli”: disavanzo fiscale e disavanzo delle partite correnti. La politica economica dell’amministrazione Reagan – basata su massicci tagli fiscali con la promessa, poi smentita, che si sarebbero autofinanziati – contribuisce all’esplosione della domanda interna. Ma questa domanda eccede la capacità produttiva del Paese, finendo per alimentare soprattutto le importazioni. È qui che, secondo l’analisi di Galli e Geraci, si radica un meccanismo che negli anni a venire diventerà cronico.
L’illusione del dollaro forte e la crisi del 2008
Il peggioramento più netto arriva con il nuovo millennio. Come ricorda il report, tra il 1995 e il 2007 si accumulano squilibri sempre più marcati. Il risparmio delle famiglie si contrae, il dollaro si apprezza, e le bolle speculative – prima quella tecnologica, poi quella immobiliare – drogano la domanda interna. Gli Stati Uniti importano più di quanto esportano, sostenuti da un’espansione del credito fuori controllo. L’Osservatorio CPI cita anche il lavoro di Maurice Obstfeld, che documenta la discesa del risparmio privato netto dal 7,3% al 4,5% del PIL e l’impennata dell’indebitamento immobiliare. È un sistema che funziona finché reggono i prezzi delle case. Ma quando la bolla scoppia, arriva la Grande Crisi Finanziaria.
Il nodo del risparmio: una fragilità strutturale
Secondo l’indagine dell’Osservatorio CPI, una delle chiavi di lettura più trascurate – ma decisive – del disavanzo americano è il crollo del risparmio interno. “Rispetto a paesi come Germania o Cina – sottolineano Galli e Geraci – gli Stati Uniti hanno tassi di risparmio delle famiglie sistematicamente più bassi”. Oggi, la propensione al risparmio si ferma al 4% del reddito disponibile, contro il 10,5% in Germania e il 35% in Cina. A questo si somma un bilancio federale cronicamente in rosso: nel 2024 il deficit pubblico Usa è ancora all’8% del PIL.
Un paradosso americano: più protezionismo, stesso squilibrio
La risposta politica, però, va in direzione opposta. Come sottolinea Galli nel testo, l’amministrazione Trump (oggi al suo secondo mandato) ripropone i dazi come panacea. Ma l’Osservatorio CPI chiarisce che il protezionismo può al massimo spostare il deficit commerciale da un paese all’altro, senza intaccare il saldo complessivo. “Se non si aumenta il risparmio netto del settore pubblico e privato – ribadiscono gli autori – il deficit esterno non può che persistere”. In altre parole: colpire la Cina a colpi di tariffe doganali non cambierà nulla, se nel frattempo gli americani continuano a spendere più di quanto producono.
Il surplus dei servizi non basta
Un altro punto messo in evidenza da Galli e Geraci riguarda il saldo positivo nei servizi, che negli ultimi anni ha parzialmente contenuto l’emorragia complessiva delle partite correnti. Ma non basta. Il deficit nei beni resta strutturalmente elevato, e l’avanzo nei servizi, pur crescente, non è in grado di compensare gli squilibri generati da consumi privati e spesa pubblica. Anche perché – osserva il report – gli shock futuri (crisi sanitarie, finanziarie o geopolitiche) rischiano di peggiorare ancora i conti.
La verità scomoda del risparmio
L’Osservatorio CPI, in conclusione, smonta le semplificazioni del dibattito pubblico americano. “La narrativa dominante – ammoniscono Galli e Geraci – tende ad attribuire i problemi degli Stati Uniti a forze esterne, assolvendo il sistema economico e politico interno da ogni responsabilità”. Ma la verità è che senza una politica di risanamento del bilancio federale e una maggiore propensione al risparmio privato, gli squilibri non possono che proseguire. E le misure protezionistiche, anziché risolvere il problema, rischiano solo di peggiorarlo. Un messaggio scomodo per Trump e i suoi sostenitori. Ma anche, probabilmente, l’unico realistico.