L’ultimo monitoraggio dell’INPS sui flussi di pensionamento segnala un netto calo delle pensioni anticipate nei primi tre mesi del 2025. Tra gennaio e marzo sono state liquidate 54.094 pensioni con anticipo rispetto all’età di vecchiaia, registrando un crollo del 23,09% rispetto allo stesso periodo del 2024, quando le domande accolte furono 70.334. Si tratta di un dato che conferma l’impatto delle recenti riforme normative introdotte per rendere più selettivo l’accesso al pensionamento anticipato, sia nel pubblico sia nel privato.
Pensioni anticipate in calo nel primo trimestre: -23% rispetto al 2024
Nel settore privato il calo è stato contenuto, ma comunque significativo. Sono 26.683 i lavoratori che hanno ottenuto la pensione anticipata nei primi tre mesi dell’anno, con una riduzione del 19,43% rispetto al primo trimestre del 2024. Un numero che riflette le nuove condizioni più stringenti, ma anche un atteggiamento di maggiore cautela da parte dei lavoratori, che attendono con incertezza l’evoluzione del quadro pensionistico prima di uscire dal mercato del lavoro. L’introduzione di soglie più rigide per l’accesso, come l’aumento dell’età anagrafica o del requisito contributivo, ha rallentato il ritmo delle uscite.
Il pubblico impiego registra il crollo più marcato
Nel pubblico impiego la flessione è ancora più drastica: appena 8.014 pensionamenti anticipati tra gennaio e marzo, il 33,85% in meno rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso. Una diminuzione che può essere attribuita non solo alla normativa più severa, ma anche al blocco parziale del turn over e alla mancanza di nuove linee guida certe per la gestione del personale in uscita. Molti dipendenti pubblici, in particolare quelli prossimi alla soglia dei 62-64 anni, stanno rimandando la domanda, attendendo che il quadro legislativo si chiarisca con la prossima legge di bilancio.
La nuova fase del sistema previdenziale italiano
Il trend negativo nelle pensioni anticipate si inserisce in una fase di transizione del sistema previdenziale italiano. Le misure adottate per frenare la spesa pensionistica, già molto elevata in rapporto al PIL, mirano a rendere più sostenibile il sistema nel lungo periodo. Tuttavia, il calo così netto potrebbe anche essere il segnale di un disagio crescente tra i lavoratori prossimi alla pensione, che si trovano di fronte a un orizzonte più incerto, spesso costretti a rimanere al lavoro più a lungo del previsto, senza un accompagnamento adeguato.
Le implicazioni sociali e occupazionali del rallentamento
L’impatto sociale di questi dati non va sottovalutato. Il ritardo nelle uscite anticipate incide sull’equilibrio intergenerazionale, rallentando l’ingresso di nuovi lavoratori nel mercato e generando tensioni nelle strutture organizzative, in particolare nel settore pubblico. In molte amministrazioni locali e centrali si registrano già problemi legati alla carenza di personale, aggravati dal rallentamento del ricambio. La mancata uscita dei lavoratori anziani sta anche influenzando le politiche aziendali di ristrutturazione e innovazione, che spesso si basano su un turn over programmato.
Cosa aspettarsi nei prossimi mesi
Il dato del primo trimestre potrebbe non essere un’anomalia isolata, ma l’inizio di una tendenza consolidata, destinata a protrarsi nei prossimi trimestri. Tutto dipenderà dalle decisioni del governo sulla prossima riforma complessiva del sistema pensionistico, attesa con la legge di bilancio 2026. Tra le ipotesi al vaglio, nuove formule flessibili di pensionamento e un possibile ritorno di “Quota 103” con modifiche, ma nessuna proposta concreta è ancora sul tavolo. Intanto, il blocco parziale degli anticipi pensionistici continua a modificare il volto del mondo del lavoro italiano, con ricadute profonde su carriere, salari e stabilità familiare.