La giornata di ieri ha registrato un nuovo fronte di tensione tra il ministero dei Trasporti guidato da Matteo Salvini e il Quirinale. Oggetto del contendere: le norme sui controlli antimafia contenute nel decreto Infrastrutture, con particolare riferimento al progetto del ponte sullo Stretto. Il Colle ha espresso forti riserve su una “procedura speciale” che, secondo l’analisi tecnica, non sarebbe più severa delle regole attualmente in vigore, anzi, risulterebbe meno rigorosa. Una posizione che ha spinto il presidente della Repubblica a bloccare il passaggio del provvedimento, aprendo una crisi di metodo e di merito.
Il ponte, le regole e il Quirinale: braccio di ferro sui controlli antimafia
In una nota diffusa nelle scorse ore, il Quirinale ha sottolineato come la normativa vigente preveda “norme antimafia rigorose”, e che la proposta inserita nel decreto “riprenda una procedura straordinaria finora utilizzata solo in caso di emergenza”, che non risulta affatto rafforzativa. Tradotto: il decreto avrebbe potuto indebolire le garanzie contro il rischio di infiltrazioni mafiose nei grandi appalti, proprio nel cantiere simbolo del rilancio infrastrutturale del Paese. Il richiamo non è solo tecnico ma anche politico, in un momento in cui la tenuta delle istituzioni è osservata con attenzione dentro e fuori l’Italia.
La replica di Salvini: “Deciderà il Parlamento”
Dal vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, è arrivata una risposta immediata, con toni concilianti ma determinati: “Chiederemo il massimo del rigore per verificare che non ci siano infiltrazioni. Dal mio punto di vista era importante, qualcuno l'ha pensata in modo diverso, vorrà dire che sarà il Parlamento a mettere il massimo delle garanzie”. La Lega, intanto, ha già annunciato che riproporrà in aula l’emendamento bocciato dal Colle, convinta che la strada della deroga sia necessaria per accelerare le opere e garantire l’efficienza dei cantieri.
Un precedente istituzionale che pesa
Non è la prima volta che il Quirinale interviene per porre un argine a norme giudicate potenzialmente pericolose sul piano della legalità. Ma il caso del ponte sullo Stretto è emblematico: un’opera da decine di miliardi, al centro di un’intensa narrazione politica, che rischia di trasformarsi in terreno di scontro tra poteri dello Stato. E mentre la propaganda insiste sulla necessità di “fare presto”, il rischio di abbassare la guardia proprio in territori ad alta esposizione criminale resta concreto.
Cosa c’è davvero nella norma contestata
Il provvedimento contestato prevede che, per gli appalti legati al ponte, si possa derogare in parte ai controlli antimafia previsti dal codice degli appalti. Si tratterebbe di una procedura già adottata per eventi come l’Expo di Milano e il Giubileo, ma solo in condizioni eccezionali. La differenza, nel caso del ponte, è che l’eccezione verrebbe normalizzata in un contesto che, al contrario, richiede vigilanza straordinaria. Il rischio, secondo i critici, è quello di spalancare un varco alle infiltrazioni, proprio mentre l’antimafia lancia allarmi crescenti sulla presenza delle cosche nei grandi lavori pubblici.
Il Parlamento chiamato a decidere
Ora la palla passa al Parlamento, chiamato a una scelta che non sarà solo tecnica ma profondamente politica. Scegliere tra rapidità e legalità, tra velocità di esecuzione e rispetto delle regole. I partiti di opposizione hanno già annunciato battaglia in Commissione. Il Partito Democratico ha chiesto “trasparenza totale” sugli appalti del ponte. Il Movimento 5 Stelle parla di “regalo alla criminalità organizzata”. Ma nel centrodestra la linea resta quella della semplificazione, anche a costo di qualche frizione istituzionale.