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L’Opinione / Elly Schlein al capolinea?

- di: Bruno Chiavazzo, giornalista e scrittore
 
L’Opinione / Elly Schlein al capolinea?
Dalla sua fondazione, i segretari del Pd (ex Pci, Pds, Ds) sono stati 11 con la Schlein. Una media di 500 giorni in carica, a fronte di una durata prevista dallo statuto di 4 anni. Il voto a Strasburgo sul riarmo europeo, proposto dalla Von der Leyen, ha fatto saltare il coperchio della pentola a pressione che continuava a bollire da alcuni mesi.
Il Partito Democratico, che aderisce al Partito Socialista Europeo (grazie a Bettino Craxi che nel 1992, in piena Mani Pulite, diede il suo assenso all’ingresso dell’allora Pds nell’Internazionale Socialista, su fervente preghiera di Achille Occhetto), si è spaccato nelle votazioni finali. Dei 21 europarlamentari del Pd, 10 hanno votato a favore e 11 si sono astenuti, ma erano pronti a votare no, se non si fosse dato da fare il capogruppo Zingaretti per evitare la débâcle totale. Inutile dire che il resto dei socialisti europei, così come i popolari, hanno votato compatti a favore della proposta Von der Leyen.
Ancora una volta le bagattelle italiane hanno avuto il sopravvento sulle questioni internazionali, mai così importanti come in questo momento. Sì, perché la Schlein è convinta che solo l’alleanza con gli imprevedibili 5 Stelle, guidati da Giuseppe Conte, possa far cadere Giorgia Meloni, che invece, anche se con qualche mal di pancia, ha fatto votare i suoi in modo compatto per il riarmo.
I primi a uscire allo scoperto sono stati i “riformisti” del Pd che, in nome della coerenza ai principi europei, hanno fatto sentire la propria voce, chiedendo un congresso straordinario del partito. Sono anni, infatti, che vanno dicendo che l’Europa è un gigante economico e un nano politico. E oggi, che l’Europa affronta la più grave minaccia alla propria integrità territoriale, il piano Von der Leyen, evoluzione di quello indicato da Mario Draghi, è il primo passo per passare dai discorsi al fare concretamente qualcosa per la difesa comune europea, in una situazione che richiede unità, velocità e determinazione.
Oltretutto, continuano i riformisti, il piano permetterà di aumentare il nostro sostegno all’Ucraina, ora più urgente che mai, colmando il vuoto lasciato da Trump. Parole di assoluto buonsenso politico che la segretaria, convinta di essere la versione 2.0 di Enrico Berlinguer, ha rifiutato con acrimonia, imponendo – con scarso seguito, come si è visto – la sua linea in nome di un “centralismo democratico” di cossuttiana memoria.
E adesso? Finirà come gli altri 10 che l’hanno preceduta? È probabile. Il tempo che gli assetti interni al partito si stabilizzino e poi anche la Schlein andrà a raggiungere tutti gli altri nel cimitero degli “ex”, sperando in qualche ospitata della Gruber nel suo programma, dove già conciona Bersani, fatto fuori a suo tempo dai 101 che votarono contro l’elezione di Prodi a Presidente della Repubblica.
Avanti il prossimo.

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