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Non sono mai semplici fondali i luoghi attraversati da James Bond. In Skyfall, capitolo centrale della trilogia firmata da Daniel Craig, i set diventano protagonisti: luoghi dell’anima e della memoria, ma anche spazi della tensione geopolitica e del mito occidentale. L’agente più famoso del cinema, diretto qui da Sam Mendes, viaggia tra Oriente e Occidente, modernità e passato, tecnologia e natura selvaggia. E lo fa lasciando un’impronta, come sempre, che va oltre l’azione. Perché in Skyfall, più che mai, la missione è anche interiore, e le location diventano specchio di questa transizione.
Skyfall, l’inseguimento globale di James Bond: così il film racconta il mondo attraverso le sue location
Il film si apre nel cuore pulsante di Istanbul, dove Bond e la sua collega Eve Moneypenny inseguono un mercenario fuggitivo. L’adrenalina scorre sopra i tetti del Grand Bazaar, tra vicoli carichi di storia e cupole che odorano d’incenso e polvere. Siamo nei pressi del caravanserraglio di Büyük Valide Han, antico snodo commerciale risalente al XVII secolo. La scena è già iconica: Bond in moto sui tetti, a cavallo tra passato e presente. Qui, come nel film, la modernità si appoggia con fatica su secoli di storia stratificata. È una Turchia ambivalente quella che ci viene restituita: parte essenziale dell’Occidente ma con lo sguardo rivolto a Est, teatro ideale per una spy story che sa di confini liquidi.
Shanghai, la modernità riflessa
Dall’opulenza antica si passa alla Cina del vetro e dell’acciaio. Shanghai appare come un gigantesco specchio urbano. I neon, i grattacieli, le superfici riflettenti sono molto più di una scenografia: raccontano un mondo dove l’identità si dissolve nella velocità. Bond si muove come un’ombra tra luci artificiali e architetture futuristiche, in una delle scene più eleganti del film. Una città che non si lascia afferrare, dove tutto è proiezione, apparenza. Ma proprio per questo perfetta per un eroe che vive nell’ambiguità. Non è un caso che qui avvenga uno dei duelli più estetici della saga, quasi a volere congelare l’azione in un’opera d’arte.
Macau, l’Oriente come immaginario
Dopo la Cina continentale, ecco Macau, l’ex colonia portoghese oggi parte della Repubblica Popolare. La scena del casinò galleggiante – per quanto interamente costruita ai Pinewood Studios – è tra le più evocative. Draghi di carta, ponti sospesi, lanterne rosse: l’Oriente disegnato per lo sguardo occidentale. Qui l’esotismo torna a essere uno strumento narrativo, come da tradizione bondiana. Ma è un’esotizzazione che funziona, proprio perché non pretende di essere reale. È lo sguardo di Bond, e del cinema, che ci porta in un luogo che esiste solo nella sovrapposizione tra cultura pop e memoria coloniale.
Londra, centro del potere in crisi
Tornando a Londra, Skyfall ci mostra un’Inghilterra ferita ma non arresa. La sede dell’MI6 esplode. La capitale è vulnerabile, e anche M – la figura materna interpretata da Judi Dench – è messa sotto accusa. Il National Gallery, dove Bond incontra il nuovo Q, diventa allora il tempio della memoria e della cultura, un richiamo alla tradizione in un mondo che cambia troppo in fretta. Il contrasto tra la metropolitana – sotterranea, oscura, teatro dell’attentato – e i palazzi istituzionali è simbolico. Il Regno Unito, come Bond, lotta per definire il proprio ruolo nel mondo post-imperiale.
Scozia, ritorno alle origini
La seconda parte del film si svolge nella selvaggia e maestosa Glencoe, in Scozia. Qui, la Skyfall House – dimora d’infanzia dell’agente – viene ricostruita appositamente per il film a Hankley Common, ma il paesaggio è autentico. La Scozia è il cuore del film, il luogo dove Bond si spoglia dei suoi gadget e affronta la sua storia. Il confronto con il passato è anche visivo: niente luci al neon, solo torbiere, rocce, cielo plumbeo. La modernità è lasciata alle spalle. Ed è nella nebbia scozzese che il film trova la sua verità più profonda: Bond non è solo un’arma dello Stato, ma un uomo, fragile e radicato.
Hashima, il nemico come rovina
Ultimo capitolo geografico: l’isola abbandonata di Hashima, al largo del Giappone, dove vive l’ex agente Silva, villain della storia. In realtà il set è stato ricreato, ma l’ispirazione è reale. Hashima – nota anche come Battleship Island – è una miniera dismessa, simbolo dell’abbandono industriale. Qui si incarna l’antitesi di Bond: non il ritorno alle origini, ma la rovina senza riscatto. La location parla da sola: cemento sgretolato, edifici vuoti, silenzio. Dove Bond sceglie la fedeltà e il sacrificio, Silva è figlio di una modernità senza più etica, un prodotto impazzito del sistema.
Una mappa del presente, non solo un itinerario di viaggio
Le location di Skyfall non sono mai semplici sfondi. Sono dispositivi narrativi, spazi di senso. Ognuna racconta un pezzo del mondo e della psiche del protagonista. Istanbul e il confronto con la storia, Shanghai e l’illusione del presente, Londra e la crisi dell’identità nazionale, Scozia e il passato che torna, Hashima e il futuro che fa paura. Skyfall, in questo, è più di un film d’azione: è un atlante emotivo e politico, un racconto dell’Occidente che cerca sé stesso in un mondo che cambia. James Bond, l’uomo senza tempo, percorre spazi che parlano della nostra epoca. Ed è forse per questo che, in questo film, lo sentiamo così vicino.