Secondo semestre da satira: la lettera oscena, la mega‑causa da 10 mld e la base MAGA divisa – ma lui rilancia la solfa “fake hoax”.
Uno scarabocchio sparato a 10 miliardi
Donald Trump ha fatto causa al Wall Street Journal, a Rupert Murdoch e a due giornalisti, chiedendo un risarcimento di almeno 10 miliardi di dollari. L'accusa è quella di averlo diffamato pubblicando un presunto "scarabocchio osceno" inserito in una lettera di auguri a Jeffrey Epstein nel 2003.
I termini usati? “Fake news”, “malicious”, “libel” e addirittura un “POWERHOUSE Lawsuit”, rilanciato in pompa magna su Truth Social.
Lo scarabocchio e la memoria selettiva
Secondo il Journal, la lettera — parte di un album preparato da Ghislaine Maxwell — conteneva un disegno esplicito e la frase “We have certain things in common, Jeffrey”, datati 2003. Trump ha negato con forza, affermando: “non ho mai disegnato un'immagine in vita mia”.
Ma Internet lo ha smentito: sono riapparsi scarabocchi firmati da lui, venduti all’asta e presenti persino in un libro pubblicato nel 2010. La frase pronunciata da lui stesso — “never wrote a picture” — si è ritorta contro, dato che i suoi disegni spingevano a centinaia di dollari.
Panico MAGA e indagini in corso
Un sondaggio Reuters/Ipsos del 15‑16 luglio 2025 mostra che il 69 % degli americani sospetta un insabbiamento sulla “client list” di Epstein. Tra i repubblicani il sospetto è altissimo, mentre solo il 17 % approva come Trump ha gestito il tema.
Intanto, l’ex presidente lancia un altro proclama social: “Ho chiesto al ministero della Giustizia e a Bondi di declassificare le trascrizioni del gran giurì”. E poi, la stoccata alla sua stessa base: li definisce “weaklings” che hanno creduto alla bufala del “Jeffrey Epstein Hoax”. Minaccia persino di non volere più il loro supporto.
L’ombra del passato e le nuove rivelazioni
Emergono nuove accuse: Stacey Williams, ex compagna di Epstein, afferma che Trump l’avrebbe molestata nel 1993 alla Trump Tower, mentre Epstein era presente. Nell’intervista, conferma: “sono rimasta immobile per lo shock”.
Il quadro morale si aggrava: già nel 1993 Trump definiva Epstein “fantastic guy”, e vi sono prove fotografiche di una frequentazione lunga oltre 15 anni, con feste a Mar‑a‑Lago e voli sul jet privato.
Un trionfo sgangherato
Trump prova a cancellare tutto con i soliti slogan: dazi, tagli fiscali, stretta migratoria, guerra in Ucraina. Un copione trito e ritrito, che oggi appare offuscato da fatti, accuse e menzogne.
La sua autocelebrazione del semestre — “rilanciato l’America, paese più rispettato” — suona come il numero di un illusionista rimasto senza bacchetta.
Perfino la scenografia balla
Trump colpisce, urla, querela — anche per 10 miliardi — come se nulla fosse. Ma quando la satira reale estrae dagli archivi scarabocchi inconfutabili, il suo fascino si sbriciola.
La base MAGA è spaccata. Gli americani diffidano. I documenti restano chiusi. E il Presidente senza onore canta vittoria mentre il Paese frana.
Un bugiardo seriale che per difendersi dipinge l’altro come bugiardo. Il copione è sempre quello. Ma stavolta, persino la scenografia balla.