La transizione energetica legata al possibile rilancio del nucleare pone interrogativi strutturali per l’Italia, del tutto priva di una propria filiera di approvvigionamento dell’uranio. Lo evidenzia un’analisi della Banca d’Italia contenuta in un “occasional paper” pubblicato sul sito dell’istituto, in cui si sottolinea come il nostro Paese non disponga né di miniere attive né di riserve accertate di uranio.
Bankitalia: il 43% dell’uranio mondiale è estratto in Kazakistan. L’Italia senza filiera, criticità sull’HALEU
Inoltre, sono del tutto assenti impianti per l’arricchimento, il processamento o la fabbricazione di barre di combustibile. Una condizione che renderebbe indispensabile, nel caso di una riapertura al nucleare civile, avviare nuove attività di esplorazione all’estero oppure importare il combustibile in toto da altri paesi, con ricadute evidenti sul piano geopolitico e commerciale.
Kazakistan primo fornitore, il 43% dell’uranio mondiale arriva da lì
Il report evidenzia che il 43% dell’uranio attualmente estratto nel mondo proviene dal Kazakistan, che si conferma il primo produttore globale. La concentrazione della produzione in pochi paesi esportatori rende particolarmente rilevante il tema della sicurezza degli approvvigionamenti. Inoltre, emerge una criticità specifica per l’approccio alle nuove tecnologie nucleari: circa la metà dei reattori di nuova generazione analizzati – 28 su 56 – utilizza uranio HALEU, cioè high-assay low-enriched uranium, con un arricchimento compreso tra il 5% e il 20%, superiore a quello impiegato nei reattori tradizionali.
HALEU: combustibile strategico ma a rischio scarsità
Secondo la Banca d’Italia, l’uranio HALEU rappresenta un potenziale collo di bottiglia per lo sviluppo del nucleare avanzato. Al 2023, il combustibile non era commercialmente disponibile nei paesi OCSE e la sua produzione risultava fortemente concentrata in Russia e Cina. Questa limitata accessibilità ha già comportato ritardi in diversi progetti in corso. Gli Stati Uniti stanno attivamente investendo per aumentare la propria capacità di produzione, ma l’attuale quadro resta incerto. Per un paese come l’Italia, che riparte da zero sul piano industriale, l’affidamento a questa risorsa comporterebbe un’ulteriore esposizione a rischi di natura geopolitica e commerciale, in assenza di una strategia di approvvigionamento autonoma o di accordi internazionali strutturati.
Riciclo e combustibile secondario: le promesse della tecnologia
Una delle strade potenzialmente più virtuose evidenziate nello studio riguarda il riciclo del combustibile nucleare già utilizzato. Secondo la società italo-francese Newcleo, promotrice del progetto AMR “LFR-AS-200”, le scorie attualmente accumulate dalla Francia – se interamente rigenerate – potrebbero coprire il fabbisogno energetico del Paese per i prossimi duemila anni. Sulla base dell’analisi NEA (Nuclear Energy Agency), 10 delle 56 tecnologie censite prevedono forme di riciclo del combustibile esaurito. Ma anche in questo caso, ricorda Bankitalia, la fattibilità dipende da fattori industriali e normativi oggi ancora da costruire, soprattutto in Paesi come l’Italia privi di un’infrastruttura di base.
Filiera assente, costi elevati per l’indipendenza
La fotografia delineata dalla Banca d’Italia, pur non esprimendo giudizi di merito sul rilancio del nucleare, mette in evidenza i costi e le implicazioni sistemiche di una strategia energetica basata sull’atomo. L’assenza di una filiera nazionale impone investimenti strutturali rilevanti in ogni fase: dall’esplorazione geologica alla fabbricazione delle barre, passando per l’arricchimento dell’uranio. In alternativa, l’Italia dovrebbe strutturarsi per gestire in modo sostenibile una dipendenza completa dall’estero, in un contesto globale che vede proprio sul combustibile nucleare una delle principali aree di tensione strategica e industriale.