Il ritratto di Maffeo Barberini - lo sguardo impaziente, la bocca socchiusa, come in procinto di proferire parola, il gesto quasi improvviso della mano destra, quasi a voler bucare lo spazio - ammicca per la prima volta al medesimo soggetto nella versione “Corsini”, attribuita a Caravaggio da Lionello Venturi, Gianni Papi e Keith Christiansen.
Tornano finalmente a casa, dopo un lungo viaggio oltreoceano, i Bari e i Musici, e poi la Santa Caterina d’Alessandria, acquistati da Antonio Barberini nel 1628 dalla collezione del cardinal del Monte, oggi custoditi nelle prestigiose collezioni del Kimbell Art Museum di Fort Worth, in Texas, del Metropolitan Museum of Art di New York e del Museo Nacional Thyssen Bornemisza di Madrid.
E rientra anche (sebbene temporaneamente) il San Giovanni Battista dalla collezione del The Nelson-Atkins Museum of Art (Kansas City – Missouri) esposto accanto al dipinto con lo stesso soggetto conservato alle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma.
È una storia di incontri inaspettati e inediti dialoghi quella che fino al prossimo 6 luglio riunisce a Palazzo Barberini ben 24 tele di Michelangelo Merisi, prestate da importanti collezioni pubbliche e private, italiane e internazionali, in occasione della mostra Caravaggio 2025.
Organizzato dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica, in collaborazione con Galleria Borghese, con il supporto della Direzione Generale Musei – Ministero della Cultura e con il sostegno del Main Partner Intesa Sanpaolo, il percorso, a cura di Francesca Cappelletti, Maria Cristina Terzaghi e Thomas Clement Salomon, propone un’approfondita riflessione sulla rivoluzione artistica e culturale operata dal maestro lombardo, esplorando l’innovazione introdotta dal pittore nel panorama artistico, religioso e sociale del suo tempo.
Aggirandosi attraverso il percorso espositivo che integra scoperte, riflessioni critiche e un confronto ravvicinato tra i suoi capolavori, l’emozione è forte e lo sguardo ne resta rapito.
Difficilmente capita di ammirare, tutti insieme e nello stesso posto, così tanti capolavori di Caravaggio, provenienti da musei molto lontani da Roma. Ed è questo uno dei motivi per il quale la mostra vale una visita.
Per gustarvela vi suggeriamo di prenotare in tempo dal momento che, ancor prima dell’inaugurazione sono stati venduti già 60mila biglietti.
Ma veniamo al percorso che, articolato in quattro sezioni, guida il pubblico attraverso l’intera parabola artistica del Merisi, lungo un arco cronologico di circa quindici anni, dall’arrivo a Roma intorno al 1595 alla morte a Porto Ercole nel 1610.
La prima tappa di questo viaggio ci porta a Roma, negli anni del debutto, quando, nel 1595, il pittore muove (a fatica) i primi passi in una città nella quale vive di espedienti, realizzando quadri per pochi soldi. Tra queste il sublime Mondafrutto, prestato dalla The Royal Collection, e il Bacchino malato, per la prima volta esposte insieme.
Restiamo ancora nella Roma degli incontri fortunati, come quello con il pittore Prospero Orsi, esperto di Grottesche, e con Costantino Spada, rigattiere e mercante dei suoi primi dipinti, con il suo più prestigioso committente, il raffinato ed eclettico cardinale, cultore di musica e canto, Francesco Maria del Monte, con il banchiere Ottavio Costa, proprietario del bellissimo San Francesco in estasi, primo esempio di opera sacra eseguita dall’artista a Roma.
La fase giovanile di Caravaggio, caratterizzata da un uso della luce ancora lontano dai possenti chiaroscuri della maturità, lascia il posto alla rara produzione ritrattistica.
Oltre a ritrarre nobili prelati o illustri personaggi, Caravaggio si serve di soggetti appartenenti a ceti sociali più umili ai quali chiede di posare per lui per ritrarre le figure religiose, eternandone per sempre la memoria. È il caso della modella che presta la sua immagine per Marta e Maria Maddalena, Giuditta che decapita Oloferne e Santa Caterina d’Alessandria, probabilmente identificabile con la celebre cortigiana Fillide Melandroni.
Sublime la Santa Caterina, la tela dalla quale, secondo il Bellori, biografo dell’artista, prese avvio quel modo di “ingagliardire gli scuri” che avrebbe caratterizzato tutta la sua produzione successiva.
Le opere religiose più emblematiche di un Caravaggio maturo, all’apice del successo, si fanno spazio con La cattura di Cristo e il San Giovanni Battista dalla collezione del The Nelson-Atkins Museum of Art (Kansas City – Missouri).
Alla tarda primavera del 1606 risale invece la svolta drammatica quando, durante una partita di pallacorda, Caravaggio uccide Ranuccio Tomassoni. Segue la fuga da una condanna alla pena capitale, e il tentativo di rifugiarsi prima nei feudi laziali della famiglia Colonna, dove realizza la Cena in Emmaus e forse anche il San Francesco in meditazione.
Pochi mesi dopo il pittore è a Napoli, dove realizza opere mirabili come l’Ecce Homo, capolavoro recentemente rinvenuto in Spagna ed esposto in mostra, e ancora la Flagellazione, destinata alla cappella di San Domenico Maggiore.
Il “Finale di partita”, questo il titolo dell’ultima sezione della mostra, affronta la fase finale della vita dell’artista. Animato dal costante desiderio di tornare a Roma, il pittore lascia Napoli e nell’estate del 1607 si imbarca per Malta, con la speranza di entrare nell’Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani, provando così a ottenere il perdono di Papa Paolo V Borghese. Il cavalierato arriva grazie a opere come il Ritratto di cavaliere di Malta, ma, coinvolto in una rissa con un altro membro dell’Ordine, Caravaggio finisce in carcere. Una fuga rocambolesca lo porta prima in Sicilia, a Siracusa e Messina, e poi di nuovo a Napoli, dove si dedica alle ultime opere, tra le quali il San Giovanni Battista della Galleria Borghese e il Martirio di Sant’Orsola, dipinto pochi giorni prima del suo ultimo tragico viaggio.
Prestito straordinario delle Gallerie d’Italia-Palazzo Zevallos Stigliano, sede museale di Intesa Sanpaolo, il Martirio di Sant’Orsola cattura lo sguardo degli ospiti di Palazzo Barberini. In occasione della mostra è stato oggetto di un delicato lavoro di ripulitura che ha fatto riemergere tre figure.
Da Palazzo Barberini il percorso espositivo prosegue all’interno del Casino dell’Aurora, a Villa Ludovisi (Porta Pinciana) dove è possibile visitare la venticinquesima opera della mostra. Si tratta del Giove, Nettuno e Plutone, l’unico dipinto murale, raramente visibile, eseguito da Caravaggio nel 1597, su commissione del cardinale del Monte per il soffitto del camerino dove lo stesso si dilettava nell’alchimia.
Un viaggio, insomma, da godersi con calma, per ascoltare dialoghi inediti tra capolavori frutto dell’estro di uno dei principi dell’arte di tutti i tempi.