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Cinque Stelle: il senso della misura, il senso del ridicolo

- di: Redazione
 
Cinque Stelle: il senso della misura, il senso del ridicolo
Cosa si dovrebbe consigliare ai Cinque Stelle, sempre più travolti dalla voglia di affrancarsi dalla coalizione di governo? Di avere il senso della misura o il senso del ridicolo? Forse, da Giuseppe Conte e dalla cerchia di consiglieri che lo spingono a prendere le distanze dal Governo, si dovrebbe pretendere solo di avere chiare le conseguenze delle loro scelte politiche che, dopo la presentazione del documento e dei nove punti a Draghi, appaiono un concentrato di contraddizioni, di ''vorrei ma non posso'', di ''mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?''.

Il Movimento Cinque Stelle si allontana sempre di più dalla coalizione di governo

Mai come oggi un partito importante come quello dei Cinque Stelle mostra la sua incapacità a elevarsi a formazione politica, che è la somma delle singole personalità che la compongono e che quindi, nel loro caso, paga lo scotto di approssimazione, incapacità, ignoranza, furbizia.
Ma perché di questo, viene da chiedersi, deve pagare le conseguenze il Paese? Una domanda che rischia di restare senza risposte perché Conte dice tutto e l'esatto contrario nel volgere di pochissimo tempo, magari dopo essersi aggiornato sugli ultimi sondaggi o avere palpato il ventre ribollente del movimento, attingendo direttamente da chat e post. Come se le sorti di una coalizione di governo (e quindi di un Paese) possano essere ostaggio da quei pochi che frequentano l'agorà telematica grillina.

Ma il Giuseppe Conte di oggi è una creatura che non ha più nulla di quella che, in punta di piedi, fece la sua apparizione sul palcoscenico della politica, mostrando (almeno ufficialmente) l'umiltà del neofita che sa di esserlo.
Il Conte delle ultime giornate sembra essere preda di pulsioni che non possono appartenere al capo di un partito (in questo l'esito dell'editto del Papeete avrebbe pure dovuto insegnare qualcosa), ma che sembrano essere di chi, pompato dall'ala radicale del movimento, si rende conto della sua debolezza e della necessità di rafforzarsi nel ruolo dando ascolto a chi gli sussurra all'orecchio di uscire dal governo, se si vogliono salvare i Cinque Stelle dall'oblio elettorale.

Lui, a conferma che forse si fida troppo di chi gli sta accanto (e che sembra intenzionato ad allargare l'area della terra bruciata che gli si sta creando intorno), minaccia e, insieme, blandisce. Quasi che la politica sia un gioco, dimenticando che essa è fatta essenzialmente di numeri veri, non quelli gonfiati dei social, che sono comunque una porzione della società. Se poi spera, come sembra, di fare tornare il peso del movimento sopra il 20 per cento, evidentemente ha perso di vista la realtà, che non è quella che lui ha in testa, ma quella che percepiscono gli italiani. Che forse per qualcuno sono un ''popolo bue'', ma che sanno distinguere se un voto è sprecato se lo si dà a chi tutto garantisce, fuorché coerenza e continuità.

Esagerazioni? Forse, ma se si guarda a come e in quanti i grillini sono entrati in Parlamento per questa legislatura e al numero di quelli di oggi, chiedersene il perché è un obbligo. Oggi i tantissimi che li hanno votati li vedono ora impegnati in battaglie ideologiche che, in questo momento di crisi, diventano automaticamente di retroguardia, immolando sul loro altare le necessità di un intero Paese.

Minacciare, ad esempio, di fare cadere il governo perché il sindaco di una Roma travolta dai rifiuti vuole realizzare un impianto per i grillini obsoleto potrebbe essere ritenuta una battaglia di principio. Ma se a farla è un partito che ha espresso il precedente sindaco che nulla ha fatto per risolvere il problema, impegolata in grandi progetti (come la ormai mitica ''funivia Battistini-Casalotti'', oggetto misterioso anche per i romani) è cosa difficile da accettare. Ora, quindi, siamo tutti in attesa di quale sarà la prossima mossa di Conte. Oddio, forse basterebbe leggere gli editoriali del quotidiano-partito per capirlo. Ma dobbiamo avere l'onestà mentale di accreditare a Conte un minimo di indipendenza. È pur sempre stato un presidente del Consiglio!
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