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Gaza, l’inverno uccide: bimbi muoiono al gelo tra tende e macerie

- di: Vittorio Massi
 
Gaza, l’inverno uccide: bimbi muoiono al gelo tra tende e macerie
Gaza, l’inverno uccide: bimbi al gelo tra tende e macerie
Pioggia, vento e temperature basse stanno trasformando i rifugi di fortuna in una roulette russa quotidiana. E i più piccoli pagano il conto più brutale.

(Foto: un neonato morto a Gaza nei giorni scorsi portato a braccia da un parente stretto).

Il freddo che non perdona: tre nomi, tre storie

La cronaca di questi giorni nella Striscia di Gaza ha un suono preciso: pioggia che entra ovunque, vento che strappa i teloni e notti in cui una coperta bagnata pesa più di un macigno.

Secondo Reuters, a Khan Younis è morta la neonata Rahaf Abu Jazar dopo che l’acqua ha invaso la tenda della famiglia. La madre, intervistata dall’agenzia, racconta di essersi svegliata trovando pioggia e vento addosso alla piccola: “è morta di freddo all’improvviso”.

Altri due decessi di bambini vengono riportati da diverse testate internazionali nei giorni immediatamente successivi, nel contesto della stessa ondata di maltempo: Hadeel Hamdan, 9 anni, e il neonato Taym (Taim) al-Khawaja. I dettagli convergono su un punto: rifugi precari, assenza di riscaldamento, umidità costante e temperature rigide. La sostanza è una sola: inermi davanti al meteo perché non esiste più una casa “normale” dove ripararsi.

Quando crolla un muro, non è “solo” una tempesta

Il maltempo non si limita ad allagare: può far collassare ciò che è già stato indebolito da mesi di distruzione. Nelle segnalazioni circolate in questi giorni compaiono crolli su tende e abitazioni danneggiate, con vittime anche tra gli adulti. Reuters riporta che le autorità locali hanno parlato di edifici collassati e di un numero molto alto di tende colpite dall’acqua, nel pieno delle precipitazioni.

Il punto cruciale è strutturale: la Striscia, dopo due anni di guerra e devastazioni, affronta l’inverno con infrastrutture ridotte all’osso. Reuters descrive anche un sistema di risposta in affanno: carenze di carburante, mezzi danneggiati, difficoltà a pompare l’acqua e a gestire migliaia di richieste di soccorso.

Dentro i campi: acqua alle caviglie e notti in piedi

La parte più feroce di questa storia non è solo nei numeri, ma nelle scene ripetute: materassi trascinati nel fango, vestiti stesi al sole per strappare via l’umidità, bambini che dormono (quando dormono) in spazi saturi di freddo.

Reuters racconta di Nuseirat, con acqua stagnante attorno alle tende e famiglie costrette a svuotare i rifugi con secchi. Un padre dice di essere rimasto in piedi tutta la notte con i figli; un altro aggiunge una frase che vale più di mille comunicati: “il nostro cibo è rovinato”, perché nel fango non si salva neppure la cena.

Al Jazeera restituisce lo stesso quadro, con una famiglia che tappa i buchi del telone con stracci e sacchetti di plastica, e una madre che descrive l’angoscia di svegliare i figli uno a uno per non lasciarli fradici: la paura della pioggia diventa gemella della paura della guerra.

Il nodo degli aiuti: cosa manca davvero (e perché)

Qui non c’è spazio per l’ambiguità: non bastano tende “normali” per un inverno così. L’ONU lo dice in modo netto. Nell’Humanitarian Situation Update #347 di OCHA oPt (aggiornato a inizio dicembre 2025) si legge che 1,28 milioni di persone restano in urgente bisogno di assistenza per il riparo e che le prime piogge hanno dimostrato quanto le tende, da sole, siano una soluzione fragile e temporanea.

OCHA sottolinea anche che, mentre le distribuzioni continuano, l’ingresso di materiali resta limitato e insufficiente: servono legname, acciaio, utensili, teloni robusti e soluzioni di transizione (riparazioni di case danneggiate, kit migliorati, unità temporanee più solide). Inoltre, lo stesso aggiornamento OCHA segnala che UNRWA ha materiali preposizionati fuori da Gaza per un numero enorme di persone, ma denuncia restrizioni che ne impediscono l’entrata diretta.

Reuters riporta l’allarme dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni: materiali essenziali per rinforzare i rifugi (come legname e compensato), sacchi di sabbia e pompe per l’acqua sono stati ritardati o non autorizzati all’ingresso, mentre centinaia di migliaia di sfollati vivono in aree basse, piene di detriti e senza drenaggi adeguati.

La sanità sotto assedio: rischio epidemie e costa “ad alta vulnerabilità”

Quando piove su un campo sovraffollato, non piove solo acqua: piovono problemi sanitari. Reuters riporta le parole del rappresentante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nei Territori Palestinesi Occupati, Rik Peeperkorn, che descrive famiglie accampate in zone costiere a rischio, in aree basse e colme di detriti, con rifiuti ovunque e assenza di barriere protettive o drenaggi.

Nello stesso pezzo, l’IOM avverte che drenaggio insufficiente e gestione dei rifiuti inadeguata aumentano il rischio di focolai di malattie. E non è un avvertimento teorico: è la conseguenza meccanica di acqua stagnante, freddo, promiscuità e servizi al collasso.

Accuse, cifre e “due verità” che si scontrano

Il capitolo più politico è anche il più prevedibile: chi blocca cosa, e quanta assistenza entra davvero.

Reuters riporta le accuse dell’ufficio stampa del governo di Gaza guidato da Hamas, che attribuisce a Israele la responsabilità di esporre le famiglie sfollate ai rischi climatici, per via della chiusura dei valichi e dell’impedimento all’ingresso di materiali di soccorso e riparo. Dall’altro lato, Reuters riporta la posizione di COGAT (l’ente militare israeliano che coordina gli aspetti umanitari): Israele sostiene di aver approvato molte richieste e di aver facilitato l’ingresso di grandi quantità di tende e teli.

Il problema è che i numeri “non cantano tutti la stessa canzone”. AP News evidenzia la divergenza tra le cifre diffuse da COGAT e quelle del network di operatori umanitari del settore shelter, che stima quantità inferiori e sottolinea un punto chiave: molte tende non sono isolate e quindi non reggono un inverno di acqua e vento.

La conclusione inevitabile: il freddo diventa un’arma “di contesto”

Non è retorica: è logica. Se una popolazione è costretta a vivere in teloni sottili, senza drenaggi, senza materiali di rinforzo e con mezzi di soccorso limitati, la meteorologia smette di essere neutrale. La pioggia non decide, ma colpisce dove trova fragilità assoluta.

OCHA lo dice con linguaggio tecnico: le tende non sono una soluzione sostenibile e servono soluzioni transitorie e ingresso di materiali “su larga scala”. Reuters lo mostra con un’immagine concreta: una madre con la figlia in braccio e una frase che taglia l’aria. E i racconti dal campo mettono il sigillo: si sopravvive notte per notte, secchio per secchio. 

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