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Quel sussulto nella manifattura che cambia il vento, ma non il passo

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Quel sussulto nella manifattura che cambia il vento, ma non il passo

Arriva da aprile un segnale che sorprende anche i più cauti: la produzione industriale italiana è cresciuta dell’1%, in netta controtendenza rispetto alle aspettative degli analisti, che prevedevano l’ennesimo calo. Ma questa volta le previsioni sono state smentite dalla realtà dei numeri. La notizia è rilevante non tanto per l’entità della crescita – un solo punto percentuale – quanto per la sua portata simbolica.

Quel sussulto nella manifattura che cambia il vento, ma non il passo

Per la prima volta dopo 26 mesi, si interrompe la spirale discendente della produzione industriale calcolata anno su anno, una caduta iniziata nel gennaio 2023 e divenuta, nel tempo, una delle metafore più utilizzate per descrivere il rallentamento della manifattura italiana. Quel flusso costante verso il basso era diventato un simbolo di stagnazione: ora c’è una cesura.

Numeri in salita, ma con riserva
Lo sguardo degli economisti non si ferma al dato mensile. Per comprendere davvero se ci troviamo di fronte a una svolta o a un rimbalzo temporaneo, è necessario osservare anche gli altri indicatori. Il trimestre su trimestre segna un +0,4%, e l’anno su anno un +0,3%. Valori modesti, ma coerenti nel segnalare una lieve ripresa. Il contesto di aprile, con le festività posizionate in modo favorevole nei calendari produttivi, potrebbe aver inciso. Tuttavia, se si aggiungono al quadro anche gli ultimi dati sulla fiducia di famiglie e imprese – entrambi in risalita – allora l’impressione che qualcosa si sia mosso inizia a prendere corpo. È presto per dire che si tratta di una svolta strutturale, ma è altrettanto evidente che il quadro è in mutazione.

Una ripartenza distribuita, ma non per tutti
L’analisi settoriale mostra una ripartenza generalizzata: la produzione cresce nei beni di consumo, in quelli strumentali e, anche se in maniera meno marcata, nei beni intermedi. L’unico comparto a restare fermo è quello dell’energia. E se si allarga lo sguardo agli ultimi dodici mesi, emergono dati interessanti. Il settore legno e carta guida la classifica con un +4,7%, seguito dalla fabbricazione di computer e componenti elettronici con +3,3%. Bene anche l’alimentare, con una crescita stabile del 3,2%. Sul fronte opposto, i mezzi di trasporto mostrano un calo preoccupante del 9,5% annuo, mentre il tessile-abbigliamento limita i danni con un -0,5%. Sono dati da maneggiare con cautela: raccontano di un tessuto produttivo che non si muove in blocco, ma per aree e comparti, con alcuni che avanzano e altri che arretrano.

Un’industria a due velocità e la lezione del treno
Per capire meglio la realtà dietro i numeri, serve cambiare angolo visuale. Guardare non solo ai settori, ma anche alle dimensioni delle imprese. E qui la metafora del treno, utilizzata dagli analisti, si rivela efficace. In testa al convoglio ci sono le grandi imprese, in particolare quelle legate alla difesa e all’aerospazio, che procedono con regolarità anche in tempi incerti. Subito dietro, il cosiddetto “quarto capitalismo” – le medie imprese, spesso familiari, descritte nel recente report di Mediobanca – che, nonostante il vento contrario dei dazi e delle crisi geopolitiche, continua a crescere. Più indietro ancora ci sono le Pmi inserite stabilmente nelle filiere produttive, che riescono a tenere il passo. Ma in coda al treno ci sono le piccole imprese isolate, prive di integrazione nei grandi circuiti produttivi, che arrancano. Per molte di loro, la questione non è più la competitività, ma la sopravvivenza stessa.

Contrattazione bloccata e sistema frammentato
Questo squilibrio interno ha riflessi diretti anche sulla contrattazione collettiva. Il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, attualmente bloccato, trova uno dei suoi nodi proprio nella difficoltà di definire regole comuni per una platea di imprese così eterogenea. Federmeccanica, l’associazione di categoria, fatica a trovare una sintesi tra esigenze troppo distanti. Come armonizzare le richieste delle grandi aziende dell’aerospazio con le condizioni di microimprese in affanno, senza fratturare il sistema contrattuale? Il tema è centrale, perché da esso passa anche la capacità di rendere competitiva l’industria italiana in uno scenario globale.

Il Pil, lo zero virgola e la sindrome da crescita minima
La vera domanda, alla fine, è se questo piccolo risveglio industriale potrà influenzare l’andamento del Pil. La risposta degli osservatori è prudente: il primo trimestre del 2025 ha registrato un +0,3%, accolto con favore ma considerato non replicabile. Per i trimestri successivi, le stime si aggirano attorno a un +0,1%. Insomma, anche se la produzione dà segnali di movimento, restiamo nel campo ristretto degli “zero virgola”. Secondo le proiezioni più ottimistiche, il Pil a fine anno potrebbe attestarsi tra lo 0,6% e lo 0,7%. Non è poco, se si pensa al rischio recessione, ma neanche abbastanza per cambiare davvero lo scenario macroeconomico. È una ripresa che somiglia più a un assestamento che a una corsa. Ma forse, per il momento, basta così.

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