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La pandemia toglie voce ai piccoli azionisti

- di: Redazione
 
La pandemia toglie voce ai piccoli azionisti
Sembra sia passato tantissimo tempo, ma sono appena pochi mesi da quando, in occasione delle assemblee dei soci di importanti aziende, bastava alzare la mano per potere intervenire, per portare il proprio contributo e non necessariamente per contestare questo o quello. Appena pochi mesi fa e questa, che era la normalità, ora è qualcosa di improponibile perché, ci viene detto, le regole imposte a tutela della salute dall'aggressione del contagio da Covid-19 non consentono che le adunanze dei soci si svolgano in presenza, demandando tutto ad una rappresentanza che mai come in questi casi è delegata, dovendo passare per un tramite tra il semplice azionista ed il vertice dell'azienda delle cui sorti è partecipe, magari passando per qualcun altro scelto da chi sta in cima alla "piramide".

Eppure proprio in queste settimane le cronache dell'alta finanza raccontano di come in tutto il mondo, mai come oggi, i piccoli soci (seppure questa è una classificazione abbastanza imprecisa quando si parla di aziende con bilanci ad almeno sette zeri) riescono a fare sentire la loro voce. L'esempio più recente riguarda il colosso dell'agroalimentare Danone che, sotto la spinta di azionisti che detengono solo piccole percentuali (seppure importanti) di capitale, sono riusciti prima a dimezzare il potere di Emmanuel Faber, lasciandogli solo la carica di presidente, ma privandolo della delega di amministratore delegato e, poi, a determinarne l'uscita definitiva ritenendolo il responsabile della grave crisi dell'azienda che nel 2020 ha perso il 25 per cento del proprio valore, dovendo anche tagliare migliaia di posti di lavoro. E poi c'è stato il caso di Toshiba i cui vertici rischiano grosso dopo che un azionista di minoranza (ma di grande importanza, come il fondo singaporiano Effissimo) ha ottenuto l'istituzione di una commissione d'inchiesta su comportamenti del management ritenuti illegali.

Le vicende di Danone e Toshiba confermano il ruolo dell'azionista-tipo, che se mette soldi vuole anche capire che fine facciano e, se ha dubbi o domande, deve avere la possibilità di formularle. Ma oggi è veramente così? L'azionista "portatore d'acqua" è messo nelle condizioni fisiche di dire la sua? Ecco, il punto è proprio questo perché l'adozione delle regole anti-contagio stanno relativizzando il ruolo dei semplici azionisti, che devono sottostare a regole rigide vedendo erosa la loro capacità di esprimere -sempre che ci siano - dissenso o approvazione per quello che è deciso dai vertici.

Prendiamo il caso di Tim, azienda tecnologica d'avanguardia se ce n'è una in Italia, che il 31 marzo terrà la propria assemblea degli azionisti ordinari, ma con tali paletti che c'è una difficoltà evidente a considerarla come tale. E non lo diciamo noi, preferendo affidarci alla definizione che ne dà la Treccani: "Riunione di persone per discutere o deliberare su affari di interesse comune o collettivo (....) soprattutto con riferimento alle adunanze di organi deliberativi di società e alle pubbliche adunanze politiche". Ma per Tim (così come crediamo anche per altre società) non sarà così dal momento che "l'intervento in assemblea si svolgerà esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla società (....) e suoi sostituti in caso di impedimenti".

Comunque potranno essere conferite deleghe o sub-deleghe. In ogni caso "amministratori, sindaci, segretario della riunione e lo stesso rappresentante designato potranno intervenire ai lavori anche mediante mezzi di telecomunicazione senza che sia necessario che il presidente ed il segretario si trovino nel medesimo luogo". Ora, partendo dal presupposto che tutte le regole ed i codicilli siano stati e saranno rispettati, c'è da chiedersi se qualcuno s'è posto l'interrogativo se queste modalità, sia pure nella considerazione della contingenza emergenziale che stiamo vivendo, consentano a tutti i soci di esercitare le loro prerogative, ovvero di potere fare sentire la loro voce, che forse rischia, a causa dello strumento telematico che la supporta, di non giungere chiara, ma soprattutto forte.

E poi, altra clausola ineludibile: sugli argomenti all'ordine del giorno dell'assemblea i soci che intendevano intervenire nel merito - anche formulando delle domande - hanno potuto farlo solo in forma scritta e soprattutto nove giorni prima della data prevista. In questo modo qualsiasi loro considerazione è stata "preventiva" e, soprattutto, non certo agevolata, dal momento che non potranno ascoltare repliche e precisazioni. Ora, si comprende bene che, con tutti gli accorgimenti possibili, è una condizione che quanto meno non aiuta la funzione di controllo che tutti gli azionisti possono esercitare, se proprio non la ostacola. Una situazione del genere - che potrebbe replicarsi per chissà quanto tempo ancora -, pur se nel rispetto delle regole forse abbassa la capacità di tutti gli azionisti, anche quelli che hanno meno forza contrattuale, di partecipare fattivamente alle sorti dell'azienda in cui hanno creduto, mettendo in gioco in essa i loro soldi.
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