Dal 2040 al 2035: accordo al fotofinish su impegni “indicativi”, ma la meta del 90% resta in bilico.
(Foto: summit alla sede Ue di Bruxelles).
L’Unione europea si trova a un bivio politico e climatico: quello che doveva essere un passo deciso verso un taglio delle emissioni ambizioso per il 2040 resta sospeso. Nel frattempo, si cerca un compromesso sul traguardo intermedio del 2035. Ecco cosa è successo, perché, e quali scenari si aprono.
Cosa è successo: slittamento e dichiarazione d’intenti
Durante la riunione dei ministri dell’Ambiente a Bruxelles non è stato trovato un accordo sul target emissivo per il 2040, nonostante la proposta di riduzione del 90% rispetto ai livelli del 1990. Un gruppo di Paesi guidato da Francia, Germania, Italia e Polonia ha chiesto di rinviare la decisione ai leader europei di ottobre, sostenendo che serva un indirizzo politico chiaro per evitare obiettivi inapplicabili o troppo onerosi.
I ministri hanno però concordato, al fotofinish, una dichiarazione d’intenti non vincolante con l’impegno a presentare entro la COP30 un obiettivo di riduzione al 2035 compreso tra il 66,25% e il 72,5%. Spetterà ora alla Commissione precisarne i contorni tecnici.
“Continuiamo a rimanere uniti e parleremo con una sola voce chiara alle Nazioni Unite”, ha detto il ministro danese Lars Aagaard, rivendicando la volontà di tenere alta l’ambizione climatica. Più prudente il commissario al Clima Wopke Hoekstra: “I processi politici non sono mai, o quasi, lineari”, ma le prossime settimane potrebbero essere decisive.
Perché il 2035 conta e come si collega al 2040
Il target 2035 è il ponte tra il -55% al 2030 e la neutralità climatica al 2050. Senza un numero chiaro al 2040, il traguardo intermedio rischia di essere aleatorio: le politiche industriali, energetiche e sociali faticano a coordinarsi e gli investimenti privati rallentano. La dichiarazione appena concordata non è un vincolo giuridico, e lascia aperta la domanda cruciale: quanto dovrà essere domestico il taglio e quanto potrà essere coperto da crediti internazionali di carbonio?
Posizioni in campo e nodi aperti
I Paesi che frenano invocano costi di transizione, tutela della competitività e sicurezza energetica. Chi spinge sull’ambizione, in primis i Paesi nordici, avverte che un passo indietro minerebbe la credibilità internazionale e l’attrattività di investimenti green in Europa. Sul tavolo c’è anche il perimetro delle flessibilità: l’uso di offset, le deroghe settoriali, i tempi di adeguamento per le filiere energivore.
Impatti immediati e scadenze
23–24 ottobre: al Consiglio europeo i capi di Stato e di governo dovranno dare le linee politiche definitive. Senza un via libera al 2040, il 2035 rischia di restare su valori minimi del range. 10–21 novembre: alla COP30 di Belém l’Ue dovrà presentarsi con una traiettoria credibile; arrivare con un impegno “indicativo” ridurrebbe il peso negoziale del blocco.
Gli scenari possibili
- Accordo forte: numero al 2040 vicino al 90% con riduzioni domestiche prevalenti; il 2035 si allinea su una traiettoria ambiziosa.
- Compromesso debole: più offset, più deroghe e un 2035 sul fondo del range; rischio di perdita di slancio.
- Posizione intermedia: ambizione confermata ma con concessioni tecniche e un 2035 “di mezzo”, affiancato da strumenti di sostegno.
- Disomogeneità nazionale: attuazioni lente e differenziate, con efficacia climatica ridotta e incertezza per le imprese.
Perché conta davvero
In gioco non c’è solo un numero: c’è la leadership europea nella diplomazia climatica, la certezza regolatoria per filiere che devono investire ora, e la coerenza con la legge europea sul clima. Un rinvio prolungato rischia di trasformare la transizione in un percorso più costoso e socialmente più difficile.