FOTO: Babaidas - CC BY-SA 4.0
È mattina presto a Tel Aviv. Greta Thunberg sale su un aereo che la porterà in Grecia. Con lei ci sono oltre 70 attivisti di varie nazionalità. Tutti erano stati fermati nei giorni scorsi mentre cercavano di raggiungere Gaza a bordo della Global Sumud Flotilla, una missione umanitaria organizzata da ong e gruppi pacifisti.
Greta Thunberg espulsa da Israele: rimpatrio con altri 70 attivisti della Flotilla
Israele li ha bloccati in mare, a poche miglia dalla costa. Le motovedette della marina hanno scortato le imbarcazioni verso il porto. Per Tel Aviv è stata un’azione necessaria per far rispettare il blocco navale su Gaza. Per gli attivisti, invece, è stato un “sequestro”, un atto che ha impedito il passaggio di aiuti umanitari destinati alla popolazione civile della Striscia.
Tra coloro che lasciano oggi Israele ci sono 28 cittadini francesi, 27 greci, 15 italiani e 9 svedesi.
Altri 21 spagnoli erano già rientrati domenica. Restano in custodia israeliana altri 28 cittadini spagnoli, sui quali si concentra ora la pressione diplomatica di Madrid.
La storia che diventa simbolo
La Global Sumud Flotilla era partita con medicinali e beni di prima necessità. L’obiettivo dichiarato era consegnarli direttamente a Gaza, dove le ong denunciano carenze drammatiche di forniture e accesso limitato ai corridoi umanitari ufficiali.
La presenza di Greta Thunberg a bordo ha trasformato la missione in un evento mediatico globale. L’attivista svedese, che negli ultimi anni ha incarnato il movimento per la giustizia climatica, ha dato un volto e una voce internazionale all’iniziativa.
Quando è stata portata via sotto scorta militare, le immagini e i video hanno fatto il giro del mondo, scatenando reazioni contrastanti.
Per molti, Greta è diventata il simbolo della solidarietà civile che sfida i blocchi e rivendica il diritto all’aiuto umanitario.
Per altri, la sua presenza ha legittimato un’azione considerata da Israele come provocatoria e politicizzata, rischiando di esasperare le tensioni invece di attenuarle.
Diplomazia in movimento
L’episodio ha aperto un nuovo fronte nelle relazioni tra Israele e diversi governi europei. Francia, Grecia, Italia e Spagna hanno chiesto chiarimenti sulle ragioni del fermo e sulle condizioni di detenzione dei propri cittadini.
Tel Aviv difende la linea dura: sostiene che gli aiuti possono entrare a Gaza solo attraverso i canali autorizzati per motivi di sicurezza, per impedire il traffico di armi.
Le ong e gli attivisti replicano che quei corridoi ufficiali non bastano e che migliaia di famiglie restano senza accesso a cibo, medicinali e beni di base.
Questa contrapposizione – tra sicurezza e assistenza umanitaria – è diventata uno dei nodi più delicati del conflitto.
Il peso delle immagini e l’effetto Greta
Greta Thunberg non è nuova a proteste simboliche, ma questa volta il suo coinvolgimento ha avuto un impatto diverso: ha spostato i riflettori internazionali da un tema globale – il clima – a una crisi locale ma di risonanza mondiale, quella di Gaza.
Il suo volto scortato verso l’aeroporto è diventato un fotogramma-simbolo, rilanciato in tutto il mondo.
Per gli attivisti è la prova che le missioni umanitarie non devono essere criminalizzate.
Per Israele è invece la dimostrazione di come figure mediatiche possano amplificare tensioni e delegittimare la sicurezza nazionale.
Una tregua solo apparente
La partenza di Greta e degli altri 70 attivisti attenua la pressione immediata su Israele, ma non risolve la questione di fondo: come garantire aiuti umanitari a Gaza in piena guerra e sotto un blocco navale.
I 28 attivisti spagnoli ancora detenuti e le nuove missioni umanitarie annunciate da alcune ong fanno capire che il confronto è destinato a continuare.
Per molti analisti, la vicenda dimostra che il conflitto non si gioca solo sul terreno militare ma anche su quello dell’opinione pubblica globale, dove simboli e immagini pesano quanto le decisioni diplomatiche.
Una lezione di realpolitik e di narrativa
Il caso della Flotilla conferma che la guerra a Gaza è anche una battaglia di narrazioni.
Da un lato, la logica militare israeliana che punta a mantenere il blocco come barriera di sicurezza.
Dall’altro, la pressione di ong e attivisti che chiedono corridoi aperti per alleviare le sofferenze della popolazione civile.
Greta Thunberg, con la sua partenza forzata, lascia una traccia visibile di questa frattura. Il suo volto resta al centro di un dibattito che non riguarda solo la politica ma anche la coscienza collettiva, in un conflitto che continua a bruciare ben oltre i campi di battaglia.