Marmolada, da regina delle Dolomiti a inferno di ghiaccio. Il glaciologo Franco Secchieri: uno zero termico a 4500 metri è un disastro

- di: Barbara Leone
 
Un inferno di ghiaccio, che con inaudita violenza ha spazzato via tutto ciò che ha incontrato nella sua folle corsa dalle vette fin giù a valle. Un crollo, quello avvenuto sulla Marmolada, di proporzioni e modalità mai viste. E che non era nemmeno prevedibile. Sebbene le temperature di questi giorni, zero termico a più di quattromila metri d’altezza, non lasciavano presagire nulla di buono. Il bilancio è drammatico: al momento sono sette le vittime e quattordici i dispersi. Ma cosa è successo alla regina delle Dolomiti? Cosa sta succedendo ai ghiacciai e, più in generale, al nostro Pianeta? Lo abbiamo chiesto a Franco Secchieri, illustre geologo e glaciologo che da cinquant’anni studia i ghiacciai. E che appena qualche settimana fa aveva profeticamente dichiarato: “i ghiacciai si stanno consumando. Stiamo andando verso una vera e propria desertificazione”. 

Professor Secchieri, questa tragedia si poteva evitare?

“Una cosa così grande era inaspettata. Ci si poteva aspettare un crollo, ma di queste dimensioni e di questa portata no. Perché è scesa fino a valle dove nessuno avrebbe mai immaginato che potesse arrivare una frana. Bisogna dirla questa cosa qua. Nel senso che non è lo scalatore che va a rischiare la vita perché si attacca a un seracco o ad una parete. Lì è arrivata una frana di migliaia e migliaia di metri cubi, è partita dal distacco di un seracco e lungo la strada ha raccolto tutto quello che poteva raccogliere accelerando la velocità e scendendo giù a valle”.

Però un campanello d’allarme c’era: una temperatura troppo alta per quella quota…

“Sì, questa è assolutamente un’anomalia. Io studio i ghiacciai da parecchi decenni e una temperatura così, uno zero termico a 4500 metri è un disastro. Perché se c’è un giorno è un conto, ma il problema è tutto il periodo che è rimasta questa temperatura così elevata”.

Lei ha scritto un libro che si intitola “Clima e ghiacciai”, in cui ripercorre la storia degli ultimi quarant’anni del binomio clima-ghiacciai. Il problema quindi non è così recente come molti pensano?

“Il discorso è un po’ complesso. Il clima determina la vita e la morte dei ghiacciai. Le condizioni climatiche possono sviluppare o restringere i ghiacciai. Ma la dinamica dei ghiacciai si sviluppa in un periodo di trent’anni. Quando la neve che cade d’inverno è di più di quella che se ne va d’estate i ghiacciai aumentano. Viceversa, quando la neve che cade è meno di quella che se ne va, quando quindi il ghiaccio rimane scoperto, un po’ alla volta i ghiacciai si consumano. Questo fenomeno l’ultima volta è iniziato intorno alla metà degli anni Ottanta e da allora è proseguito senza sosta. Una annata però eccezionale come questa io non ho mai avuto occasione di riscontrarla, sia per le temperature elevate sia per il lungo periodo in  cui sono rimaste elevate. E chissà fino a quando rimarranno, perché non è mica finita”.

Tecnicamente cosa è successo sulla Marmolada?

“I ghiacciai si spostano, non sono delle rocce ferme. Il ghiaccio è dotato di movimento. Normalmente nelle Dolomiti o nelle Alpi occidentali gli spostamenti sono una cosa consueta, ma la condizione delle temperature elevate e quindi anche della fusione del ghiaccio della neve che ha creato l’acqua sotto al letto come lubrificante ha concorso a creare questo distacco. Se non ci fosse stata la gente sotto probabilmente passava come una grande frana e buonanotte. Purtroppo ci sono stati i morti e questo ha creato il problema ulteriormente, perché nessuno si aspettava che la frana potesse arrivare fin lì”.

Ci sono altre zone a rischio?

“In montagna occorre prudenza, perché la montagna è tutta una zona a rischio. Dove c’è un pendio, dove c’è la gravità possono cadere rocce o valanghe. Che però d’inverno sono più facilmente prevedibili perché si sa da dove vengono e dipendono dalla quantità di neve caduta. Quindi diciamo che la valanga si può gestire, il crollo di un seracco no. E’ imprevedibile”.

Secondo lei cosa possiamo fare per invertire la rotta, anche a livello di cambiamenti climatici visto che sono strettamente legati a questi tragici eventi?

“Una previsione a medio termine è impossibile, perché come ho detto per un climatologo l’unità di misura sono i trent’anni. Trovare un immediato rimedio è impossibile, anche perché per un climatologo l’unità di misura sono i trent’anni. Quindi nell’immediato è impossibile, anche se dovessimo anche eliminare completamente le emissioni di gas. Ma poi chi lo fa? Improvvisamente da domani nessuno va più in macchina, nessuno accende più i condizionatori? E’ molto difficile una politica di questo genere. Si spera che le generazioni future possano inquinare meno, non evitare di inquinare che è impossibile. Però bisogna ricordare che ci sono anche altre condizioni che generano i cambiamenti climatici, come ad esempio le componenti astronomiche, i cicli di Milanković e altre cose simili che concorrono a cambiare l’andamento del clima. Insomma, non è così semplice. E’ tutta la dinamica della atmosfera che cambia. Basti pensare che adesso c’è l’anticiclone africano che si è sostituito all’anticiclone delle Azzorre. Quindi sono tante e grandi le variazioni che si stanno verificando nelle dinamiche della atmosfera. E questo implica anche che i cambiamenti non possono essere a breve termine. Per cui la cosa più sensata e logica è prendere atto di quello che sta succedendo, pensare che le cose possono anche non migliorare e fare in modo di adattarci a quello che sta per avvenire. Prendiamo il problema dell’acqua. C’è un collegamento diretto tra la montagna, la pianura e il fiume. In pianura padana il Po non ha più acqua, questa grande vena che riforniva di acqua l’intera pianura padana si è seccata e l’agricoltura è enorme crisi. Perchè se non piove è come avere a che fare con un corpo che non ha più sangue nelle vene. L’agricoltura sta morendo, è un disastro. E quindi cosa dobbiamo fare. Innanzitutto pensare che l’acqua non deve essere sprecata. E’ un pezzo che lo diciamo, ma nessuno comincia a farlo”.

Bisognerebbe ripensare a ogni tipo di abitudine, dalla doccia a ciò che si mette in tavola non trova?

“Assolutamente sì. Ci vuole una politica generale di risparmio. Non basta chiudere l’acqua quando ci si lava i denti. Il discorso alimentare è importante, troppa carne, troppi allevamenti intensivi che consumano acqua e producono anidride carbonica. In generale il problema è che siamo abituati a mangiare tanto. Fare un ripensamento sul cibo non sarebbe male. Questa è una delle tante cose che si potrebbero fare. Anche perché a questo punto la situazione sta diventando veramente troppo grave, soprattutto per quanto riguarda l’acqua. Ecco perché dobbiamo agire velocemente e non possiamo perdere tempo. Soprattutto per le generazioni future. Io un nipotino di 8 mesi e pensando a lui dico: quando avrai vent’anni anni come sarà il mondo? Anche perché bisogna tener conto che i ghiacciai non sono solo un aspetto estetico della montagna. Sono una riserva di acqua, e oltretutto la neve fa in modo che la terra si riscaldi di meno. Quando fa caldo ci vestiamo di bianco per non sentire caldo no? La neve in montagna agisce allo stesso modo: riflette i raggi solari e quindi evita che le rocce si scaldino. Mancando la neve le rocce si scaldano di più”.

E cambia tutto l’ecosistema…

“E’ proprio l’habitat che cambia. Come c’è stato nel corso della storia con le glaciazioni. Quando faceva freddo gli animali, dagli orsi ai licheni, scendevano verso sud nell’adriatico o nel mediterraneo. Viceversa quando il clima cambia e si riscalda da sud gli animali salgono verso il nord. E quindi cambia completamente tutto. E le conseguenze possono essere imprevedibili”.
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