Non ci sono più i picciotti di una volta: colpa del reddito di cittadinanza?

- di: Barbara Leone
 
Signora mia, non ci sono più i picciotti di una volta. Non è stato detto esattamente così, ma il senso delle intercettazioni emerse dall’inchiesta denominata “Vento” è proprio questo. E’ il febbraio del 2020 quando il boss Giuseppe Incontrera, ucciso lo scorso 30 giugno alla Zisa di Palermo, si lamenta con un altro membro del clan perché non trova “picciuoteddi” da mettere a spacciare per colpa del reddito di cittadinanza. “Con questa min**ia di cittadinanza, peggio è”, sbotta il boss di Porta Nuova, “perché quello già dice ‘io ho 1.200 al mese… che min**ia vengo!’”. Cifre, a dire il vero, ben lontane dalla realtà. Dal momento che il reddito di cittadinanza medio percepito è pari a 588 euro al mese. Al di là dei numeri, però, ciò che colpisce è il fatto che in qualche modo il tanto discusso, e discutibile, reddito di cittadinanza stia sul cardias finanche a Cosa nostra.

Che a dispetto di quanto si possa credere è viva e vegeta, seppur alquanto silente. Basti pensare che, oltre alle estorsioni e rapine facenti capo ai presunti capi della cupola palermitana, un capitolo intero della suddetta inchiesta riguarda i cosiddetti reati elettorali. Detto terra terra: voti controllati dalla mafia. Tornando al reddito, è indubbio che stia in qualche maniera svolgendo anche un ruolo per certi versi “rieducativo”. Tra gigantesche virgolette, s’intende. Visto che, più per comodità che per mentalità, molti ragazzi evidentemente preferiscono rimanere puliti avendo dalla parte loro un’entrata comunque certa e sicura, nel vero senso della parola. Infondo trattasi di banale buon senso: meglio rischiare la vita e la fedina penale per una manciata di euro pochi, maledetti e subito, o starsene al calduccio di casa con la stessa manciata di euro un po’ più di pochi, e soprattutto benedetti e regolari? Non bisogna di certo essere un genio per scegliere il male minore. Ovvio. Se poi magari nel frattempo uno prende pure la sana abitudine di lavorare onestamente, voilà. Il miracolo è compiuto. E forse vale pure la pena tenerlo in vita sto famoso reddito.

Seppur pieno di falle. Che ci sono, e manco poche. Visto che un giorno sì e l’altro pure vengono fuori come funghi percettori abusivi del sussidio pentastellato nato, sulla carta almeno, a sostegno delle fasce più bisognose. Di fatto a beneficiarne sono tanti, troppi furbetti che di nullatenente hanno solo coscienza e senso d’onestà: zero. Una prassi, questa del far passare lucciole per lanterne, che purtroppo al sud è ancor più amplificata. Complice la filosofia del tiramm a campà che, sinceramente, non ha mai portato nulla di buono. E che però nel meraviglioso Mezzogiorno italiano può contare su un cicciosissimo numero di fan, cui non è parso vero d’accollarsi allo Stato magari continuando a fare qualche lavoretto al nero. Tanto c’è sempre e comunque Pantalone che paga. E’ scomodo sì, politicamente scorretto e pure brutto a dirsi. Ma, ahinoi, corrisponde alla santa verità. D’altro canto non ci meravigliamo affatto che ai malavitosi possa rodere, e neanche poco, il chiccherone. La forza della mafia, e della criminalità organizzata in genere, sta proprio nel tenere il proprio popolo in povertà e non istruito.

Va da sé che non lo vedano di buon occhio il reddito di cittadinanza. Ergo, per la proprietà transitiva, non può che piacerci. Anche se necessita di regole chiare e precise, e soprattutto di controlli a tappeto che al momento sono quasi esclusivamente a campione. Di sicuro grazie al reddito di cittadinanza si è, forse per la prima volta, affrontato in maniera seria il problema degli ammortizzatori sociali, dei centri per l’impiego che sono poco più che inermi fantasmi e di tutto quel sottobosco di lavoratori apparentemente inattivi che sono invece più che attivi ma sfruttati a mo’ di schiavi del terzo millennio. Senza catene, ovviamente. Ma con legacci e legacciuoli culturali che, all’occorrenza, possono fare anche più danni. E questo la mafia lo sa. Tocca alla politica buona, se ancora c’è, e anche un poco a noi liberarli.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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