Perché è il momento di considerare un’allocation focalizzata sulla Cina

- di: Christopher Carpentier, Investment Strategist e Dane Smith, Senior Investment Strategist di State Street Global Advisors
 

Nei portafogli azionari dei mercati emergenti, gran parte del beta è determinato dalla performance dei titoli cinesi. Di conseguenza, chi investe in indici azionari emergenti potrebbe inavvertitamente allocare il budget di rischio alle dinamiche macroeconomiche e microeconomiche che caratterizzano le società cinesi, piuttosto che alla performance complessiva dell’universo emergente. Per garantire un’ampia esposizione ai mercati emergenti e ottenere un migliore controllo dei rischi legati alla Cina, riteniamo che gli investitori debbano considerare i paesi emergenti ex Cina, parallelamente a un’allocazione azionaria specifica e dedicata sui i titoli di Pechino.

L’indice dei mercati emergenti presenta un’elevata concentrazione di titoli cinesi

La Cina rappresenta il 31,4% dell’Indice MSCI Emerging Markets, lo stesso peso di Pechino all’interno dell’economia dei mercati emergenti. Il peso del Dragone in tale indice è cresciuto nel corso degli ultimi due decenni. Inoltre, secondi i dati raccolti da Morgan Stanley, mediamente la quota cinese dei fondi azionari globali è in linea con l’indice MSCI: ne deriva quindi che Pechino esercita una considerevole influenza sulla performance dell’indice dei mercati emergenti e sull’andamento dei portafogli azionari globali.

 

Al di là della sua considerevole concentrazione, la flessione della performance cinese spesso provoca venti contrari per altri nomi dei mercati emergenti, amplificando così l’impatto di Pechino sulla performance dell’indice. Ad esempio, la debolezza del ciclo del settore tecnologico ha avuto riflessi sull’industria manifatturiera dei paesi emergenti, mentre la minore domanda di beni esteri ha determinato una riduzione degli ordini.

Al contrario, a livello globale, la Cina è sottorappresentata: il peso di Pechino nell’indice MSCI ACWI (3%) è ben al di sotto del suo contributo al PIL del Fondo Monetario Internazionale (19%). Questo elemento suggerisce che detenere la Cina in un indice dei mercati emergenti equivale a sovrappesarne l’esposizione, mentre investire in Cina esclusivamente attraverso un indice globale più ampio può tradursi nel sottopesarla.

 

Riconosciamo che l’impatto della Cina sui mercati globali supera di gran lunga il peso della parità di potere d’acquisto (PPA). Le importazioni rimangono deboli, tanto che ad aprile hanno registrato una flessione del 7,9% su base annua (ben al di sotto delle previsioni medie del -0,2%, secondo Bloomberg), dopo il un calo dell’1,4% a marzo, nel momento in cui i consumatori cinesi hanno cercato meno beni internazionali. Inoltre, la catena di approvvigionamento cinese è parte integrante di un’ampia gamma di settori, tra cui quello tech e delle energie rinnovabili, ed il paese è sede degli impianti di produzione di molte tra le più grandi aziende internazionali. Prima della pandemia, Barclays stimava che circa il 60% degli acquisti di beni di lusso da parte dei consumatori cinesi avvenisse al di fuori del paese, soprattutto in Europa.

 

Tuttavia, crediamo che l’esclusione di Pechino da un portafoglio che investe in mercati emergenti possa essere accompagnata da un’allocazione interamente dedicata alla Cina che risponda agli obiettivi di rendimento e la tolleranza al rischio di ogni investitore, in grado di sfruttare l’attuale premio per il rendimento dell’azionario cinese.

 

I rischi della Cina richiedono un approccio specifico

Date le sfide geopolitiche ed economiche in Cina, riteniamo che gli investitori debbano prestare molta attenzione ai rischi specifici dei titoli cinesi all’interno dei propri portafogli, a partire da un’allocazione sull’indice Emerging Markets. In fondo, separare e detenere un’esposizione alla Cina insieme a quella agli emergenti (ex-Cina), consentirà a chi investe di avere un maggior controllo sulla gestione di questi rischi, tra cui:

Sicurezza e spionaggio internazionale. Le imprese tech cinesi e altre aziende sono sottoposte ad un attento esame quando puntano ad espandersi su scala globale, a fronte del timore dei diversi paesi che le app cinesi vengano utilizzate per raccogliere informazioni sensibili o per aumentare l’influenza di Pechino. Ad esempio, il fondatore di ByteDance, Zhang Yiming, per anni ha incoraggiato l’espansione globale e un approccio “marziano”, che prevede che l’azienda sia veramente globale, senza legami con alcuna nazione di provenienza. Raggiungere questo obiettivo sta diventando sempre più difficile, come dimostra il duro esame a cui è stato sottoposto l’amministratore delegato di TikTok, Shou Zi Chew, durante la sua deposizione al Congresso degli Stati Uniti a marzo. In India l’utilizzo di ByteDance è già stato vietato e gli Stati Uniti hanno da tempo preso in considerazione l’ipotesi di un divieto o di una vendita forzata dell’azienda. Per quanto riguarda le relazioni tra Stati Uniti e Cina, le recenti tensioni politiche scaturite da oggetti volanti sui cieli di entrambe le nazioni e le diverse posizioni nei confronti della Russia hanno ulteriormente aumentato le preoccupazioni legate al furto di dati, sulla capacità delle aziende cinesi di intraprendere percorsi di internazionalizzazione, nonché sulla capacità delle imprese tech cinesi di cooperare allo sviluppo di innovazioni, come l’intelligenza artificiale.

Investimenti/disinvestimenti corporate dalla Cina. Gli investimenti societari globali continuano a essere fondamentali per l’economia cinese, dal momento che gli investimenti privati sono ancora deboli e il passaggio dagli investimenti pubblici a quelli privati procede a rilento. Tuttavia, per le multinazionali è diventato più difficile investire in Cina, soprattutto a causa delle preoccupazioni legate all’ideologia del governo. Da un report pubblicato a settembre dalla Camera di Commercio Europea è emerso che gli investimenti diretti esteri (IDE) dell’UE in Cina sono diventati più mirati, tanto che i primi 10 investitori rappresentano attualmente oltre il 70% del totale, mentre cinque anni fa la distribuzione era relativamente omogenea.

D’altro canto, il report ha rilevato che la maggior parte delle aziende europee prevede ancora di utilizzare la Cina come hub produttivo e, allo stesso modo, il 74% delle aziende statunitensi dichiara di non prendere in considerazione la delocalizzazione della produzione o l’approvvigionamento al di fuori della Cina. I timori di natura ideologica o di contesto operativo sono attenuati dai vantaggi in termini di costi offerti dalla Cina e dalla capacità del paese di realizzare prodotti in tutte le 666 sottocategorie (in base alla classificazione delle Nazioni Unite) del settore manifatturiero, stando ai dati raccolti da JP Morgan. Inoltre, si è diffusa la cosiddetta strategia “Cina+1”, che prevede che le imprese integrino le loro attività produttive in Cina con investimenti in altri Paesi asiatici, come Vietnam e Indonesia.

 

Reshoring globale. A seguito della pandemia, i Paesi stanno puntando a rendere le loro catene di approvvigionamento più resilienti agli shock e ai rischi sistemici come il cambiamento climatico. L’amministrazione Biden ha introdotto un’ampia gamma di modifiche normative per riportare negli Stati Uniti le catene di approvvigionamento attualmente localizzare in Cina, tra cui crediti d’imposta per promuovere la produzione ecosostenibile e la ricerca in ambito tecnologico a livello nazionale. A maggio il presidente Xi Jinping ha dichiarato che la Cina dovrebbe accelerare la ricerca per raggiungere l’autosufficienza tecnologica e la “dual circulation” resta ancora un tema chiave per i politici cinesi.

 

Settore immobiliare. Il settore immobiliare continua a essere in difficoltà: stando a quanto riportato dall’Ufficio nazionale di statistica cinese, ad aprile le vendite e le nuove costruzioni si sono ulteriormente ridotte. Anche l’acquisizione di nuovi terreni resta debole e il supporto fornito dal governo per stimolare il settore immobiliare è stato probabilmente già assorbito e i suoi impatti si sono già avuti. Poiché tale settore rappresenta circa il 20% del PIL cinese, la sua debolezza incide in modo rilevante sull’economia cinese.

 

Gli investitori possono adottare misure per sfruttare il premio per il rendimento della Cina

Le sfide descritte nella sezione precedente si sommano ai dati storici che dimostrano come il rischio legato all’azionario cinese sia superiore a quello derivante dall’investimento in azioni dei paesi emergenti, sia in termini di volatilità storica che di previsioni future. Se da un lato le nostre stime mostrano una deviazione standard di lungo periodo del 17,2% per i mercati emergenti, dall’altro la previsione di rischio di lungo periodo per la Cina è pari al 26,9%.

A nostro avviso, uno dei motivi per cui la Cina merita un’allocazione indipendente è legato ai suoi maggiori rischi. La nostra view potrebbe essere particolarmente utile per gli investitori che adottano un approccio factor-based e che investono in base ad un framework di risk-budgeting: separando la Cina dagli altri paesi emergenti, gli investitori possono assicurarsi di aver messo a budget i rischi legati alla Cina e di ottenere rendimenti più favorevoli dall’assumersi il rischio sistematico.

 

Una strategia indipendente per la Cina offre potenziale di diversificazione

Le politiche, la traiettoria di crescita e altri trend della Cina sono elementi che distinguono Pechino da altre nazioni e che richiedono un’analisi più approfondita. Ad esempio, la Cina è una delle poche nazioni che sta vivendo un periodo deflattivo piuttosto che inflattivo, nonostante la riapertura del Paese dopo la pandemia. Ad aprile, l’IPC si è attestato allo 0,1% su base annua, ai minimi da oltre due anni, e la deflazione della produzione è scesa ulteriormente al -3,6% su base annua. Mentre gli Stati Uniti e altri mercati emergenti e sviluppati stanno rendendo la propria politica monetaria più restrittiva, la Cina ha lasciato invariati i tassi di interesse e potrebbe tagliarli ancora per stimolare la fiducia dei consumatori e il momentum dell’industria. Il beta rolling dell’indice MSCI China rispetto all’MSCI EM ex China è sceso bruscamente a partire dal 2021, a dimostrazione della divergenza della performance della Cina rispetto agli altri paesi emergenti.

Esaminando più attentamente il potenziale di diversificazione derivante da un’esposizione alla Cina, abbiamo confrontato le correlazioni dei rendimenti (rolling) dell’MSCI China e dell’MSCI Ex China rispetto all’indice MSCI World.

Dal confronto sono emerse delle correlazioni generalmente più elevate dell’indice MSCI ex China con i paesi sviluppati, in particolare negli ultimi tempi. La correlazione è aumentata nel corso degli anni, soprattutto durante la forte performance del mercato cinese tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, quando l’esposizione alla Cina rappresentava un’utile diversificazione (a fronte di correlazione in calo). Tuttavia, è anche evidente che negli ultimi anni la Cina è diventata maggiormente correlata all’indice MSCI EM.

 

Inoltre, rileviamo che i mercati emergenti ex Cina sono tipicamente più sensibili alle prospettive di crescita globale e alle oscillazioni dei Federal Funds, caratteristica che spesso si traduce in un’esposizione ad altre aree di un portafoglio. Pertanto, i portafogli che adottano un approccio d’investimento indipendente alla Cina tendono a essere più idiosincratici e diversificati. Crediamo che gli investitori possano beneficiare dall’analizzare dove si collocano i diversi rischi all’interno dei portafogli, come è stato allocato il budget di rischio agli stessi, nonché l’eventuale presenza di view implicite, che siano sovra o sottopeso.

 

Conclusioni

La crescente influenza della Cina sull’economica e sul mercato globale impone agli investitori di rivalutare i concetti tradizionali di asset allocation. Crediamo che un’allocazione specifica sulla Cina offra agli investitori l’opportunità di raggiungere più efficacemente gli obiettivi di rendimento, e che la gestione attiva possa aiutare a generare maggiori rendimenti. Ed un’esposizione dedicata alla Cina aiuta gli investitori a concentrarsi su una fonte di rischio crescente all’interno dei propri portafogli.

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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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