Come affermano Evangelista e Giubileo su lavoce.info, l’intelligenza artificiale può liberare risorse, migliorare l’accesso e personalizzare i servizi per chi cerca un’occupazione.
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Cercare lavoro, oggi, non significa più solo scrivere un curriculum e aspettare una chiamata. Nell’era dell’intelligenza artificiale, anche l’orientamento professionale si trasforma. Come affermano Leonardo Evangelista e Francesco Giubileo in un’analisi brillante e documentata pubblicata su lavoce.info, l’IA può diventare uno strumento chiave per rendere più accessibili, efficienti e mirati i servizi pubblici per l’impiego, a patto che si sappia governarla.
La loro proposta è netta: sfruttare la potenza delle tecnologie conversazionali per fornire un orientamento gratuito e personalizzato a milioni di utenti. “Questo permetterebbe – scrivono – di liberare risorse da reinvestire su chi ha più bisogno: lavoratori fragili, persone a rischio esclusione, disoccupati cronici, giovani scoraggiati”.
L’intelligenza artificiale entra nei centri per l’impiego
Come puntualizza il lavoro apparso su lavoce.info, l’IA ha già rivoluzionato il modo di interagire con molte funzioni del quotidiano – dalla banca al medico di base – ed è pronta a cambiare anche il rapporto tra cittadini e centri per l’impiego. Gli strumenti di IA generativa sono in grado di rispondere con linguaggio naturale a domande complesse del tipo: “Quali professioni potrei svolgere con il mio profilo?” oppure “Quanto sono idoneo per questa posizione?”
Non è solo una questione di velocità o precisione. Secondo Evangelista e Giubileo, studi recenti mostrano che le risposte dei chatbot raggiungono un livello di empatia percepita pari – o addirittura superiore – a quello degli operatori in carne e ossa. Questo li rende strumenti credibili, capaci di offrire supporto a chi è in cerca di nuove strade nel mercato del lavoro.
Cosa fanno gli altri Paesi europei
La mappa europea tracciata da Evangelista e Giubileo è chiara. Svezia, Francia e Vallonia belga sono in prima linea nell’integrazione dell’IA nei servizi per l’impiego. In particolare, i servizi svedesi (Arbetsförmedlingen) sono pionieri nel coinvolgimento diretto degli utenti: studi pilota valutano da anni l’impatto reale degli strumenti digitali sul comportamento di chi cerca lavoro.
Come evidenzia l’articolo su lavoce.info, le applicazioni più diffuse sono tre:
1. Profilazione dei disoccupati, per comprendere il livello di occupabilità e suggerire percorsi coerenti.
2. Orientamento professionale, per fornire indicazioni sui settori in crescita, corsi di formazione, competenze da rafforzare.
3. Matching tra domanda e offerta, ancora poco sviluppato per via delle complessità tecniche, etiche e normative.
Queste tecnologie, spiegano gli autori, non servono a sostituire gli operatori, ma ad alleggerirne il carico. “L’IA viene usata per supportare le decisioni, non per automatizzarle completamente”, scrivono. Il case manager resta al centro, ma con nuovi strumenti al proprio fianco.
L’Italia e il progetto AppLI: una svolta possibile
Anche l’Italia si sta muovendo. Per la prima volta, come affermano Evangelista e Giubileo, il ministero del Lavoro ha scelto di anticipare l’onda anziché inseguirla, lanciando il progetto AppLI – Assistente personale per il lavoro in Italia. Presentato alle regioni, AppLI è un coach virtuale pensato per fornire orientamento di base agli utenti in autonomia.
Dopo una fase pilota in sei regioni, l’applicazione verrà testata su scala nazionale. Se funzionerà, sarà possibile immaginare un sistema in cui l’utente carica il proprio profilo sul sito del centro per l’impiego, dialoga con un chatbot, riceve un piano d’azione personalizzato e prende appuntamento per la sua validazione con un operatore umano.
Una vera e propria architettura digitale pubblica, spiegano Evangelista e Giubileo, che sfrutta chatbot programmabili in linguaggio naturale e API sviluppate ad hoc per l’integrazione con i server ministeriali. L’idea è semplice quanto potente: offrire un servizio orientativo continuo, accessibile h24, senza più vincoli di orario o sportello.
Più efficienza, più equità
Il punto più interessante dell’analisi, come evidenzia il lavoro apparso su lavoce.info, è che l’intelligenza artificiale non è solo una leva tecnologica, ma anche una leva sociale. Riducendo il numero di utenti gestiti direttamente dagli operatori, si potrebbero reinvestire le risorse sui casi più complessi, su chi è escluso o su chi vive in aree svantaggiate.
“Molti soggetti fragili – scrivono Evangelista e Giubileo – faticano ad accedere ai servizi essenziali anche per problemi di mobilità fisica. Se l’IA coprisse almeno il primo livello di orientamento, si potrebbero finanziare soluzioni abitative, tirocini, accompagnamenti personalizzati”.
Non solo. Un sistema pubblico e trasparente di IA per il lavoro potrebbe anche contrastare le derive opache del mercato privato, dove la visibilità delle offerte o dei corsi dipende sempre più spesso dalla capacità di spesa dei soggetti coinvolti. Un pericolo concreto, già visibile nei motori di ricerca o nei social network.
Verso un nuovo paradigma dell’orientamento
Il lavoro di Evangelista e Giubileo, apparso ci consegna una visione realistica ma non rassegnata: l’IA non è il nemico da temere, ma lo strumento da governare. L’obiettivo è costruire una pubblica amministrazione capace di usare le tecnologie per migliorare l’equità, la qualità e l’accessibilità dei servizi.
Il nuovo paradigma è chiaro: le persone più autonome interagiscono con l’intelligenza artificiale, quelle più fragili continuano ad avere accesso al supporto umano. In mezzo, una struttura pubblica intelligente che sa distinguere e allocare le risorse dove servono davvero.
Una rivoluzione silenziosa, ma già in cammino.