Inchieste IF / Reparti al collasso, la lista che fa paura al Ministero
- di: Matteo Borrelli

Letti oltre il limite, personale esausto, pazienti abbandonati nei corridoi: ecco cosa succede ogni giorno nella sanità pubblica (ma nessuno lo dice).
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Una crisi strutturale nascosta sotto il tappeto
In Italia c’è una lista non ufficiale, ma ben nota a chi lavora negli ospedali: quella dei reparti “al collasso”. Non viene pubblicata dal Ministero, non compare nei dossier delle Regioni, eppure esiste. È composta da nomi e numeri che si ripetono come un’allerta silenziosa: pronto soccorso intasati, medicina interna satura, personale in fuga, pazienti stazionati per giorni in barella in attesa di un posto letto. Una lista che cresce ogni mese, mentre i riflettori pubblici sono altrove.
Secondo l’ultima inchiesta della Federazione dei medici internisti ospedalieri (Fadoi), pubblicata a maggio 2025 e condotta su un campione rappresentativo di 216 reparti italiani, ben il 58% dei reparti di medicina interna supera regolarmente il 100% di occupazione dei posti letto. In parole semplici: più malati che letti. Nel 12% dei casi si arriva addirittura a sfondare il tetto del 120%.
Il fenomeno è particolarmente grave nelle regioni del Centro-Sud: Lazio, Umbria, Campania, Calabria e Sardegna risultano tra le più critiche, secondo quanto riferito da dirigenti ospedalieri e fonti sindacali sanitarie. “Siamo oltre la soglia di sicurezza. Ogni giorno decidiamo chi può essere curato e chi deve aspettare. È una roulette russa clinica”, denuncia il dottor Marco Fiorentini, primario in un ospedale romano.
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Infermieri e medici: una trincea vuota
Il problema non è solo logistico. È umano. Il 71% dei direttori di reparto coinvolti nell’indagine Fadoi denuncia una carenza cronica di personale medico, mentre l’85,6% parla apertamente di una situazione drammatica sul fronte infermieristico. I turni si allungano, i giorni di riposo saltano, le ferie vengono negate. “Abbiamo infermieri che fanno 12 ore per tre giorni di fila. È insostenibile, ma non ci sono alternative”, spiega Roberta G., caposala a Palermo, che ha chiesto l’anonimato per evitare sanzioni.
Nel frattempo, i concorsi banditi dalle aziende sanitarie vanno deserti o non riescono ad attrarre professionisti. Secondo dati forniti dalla Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (Fnopi), mancano in Italia oltre 65.000 infermieri rispetto alla media europea. Il blocco delle assunzioni post-Covid, le retribuzioni basse e la crescente aggressività da parte dei pazienti hanno allontanato molti giovani dalla professione.
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Liste d’attesa infinite e ricoveri evitabili
A complicare il quadro ci sono le liste d’attesa. In molte regioni superano l’anno per visite specialistiche e interventi di routine. Questo genera un effetto domino: pazienti che arrivano al pronto soccorso per problematiche che avrebbero potuto essere risolte con una semplice visita ambulatoriale finiscono per ingolfare i reparti ospedalieri.
Secondo il 33% dei medici intervistati dalla Fadoi, almeno un ricovero su tre sarebbe evitabile con un’assistenza territoriale efficace. Ma le case della salute, previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, restano in gran parte sulla carta. Le strutture esistenti sono poche, sottoutilizzate e spesso osteggiate da parte della categoria medica, poco incentivata a lavorarvi. “La medicina di prossimità è una chimera, non un modello operativo”, ha dichiarato l’epidemiologo Alessandro Grimaldi.
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Pronto soccorso nel caos: pazienti parcheggiati e ambulanze bloccate
Il cuore pulsante della crisi resta però il pronto soccorso. Un’indagine pubblicata da Internazionale nel gennaio 2024 denunciava già un quadro disastroso nei reparti d’emergenza del Lazio, con casi documentati di pazienti costretti a restare in ambulanza per oltre 8 ore a causa dell’assenza di posti letto liberi in reparto. Un problema strutturale che oggi è peggiorato.
L’ospedale “Giannettasio” di Rossano (Cosenza) è diventato il simbolo di questo crollo. Secondo quanto riportato da Eco dello Jonio nel luglio 2024, il pronto soccorso è fra i peggiori d’Italia per qualità del servizio: personale ridotto all’osso, strutture fatiscenti, medici che chiedono il trasferimento in massa e turni che superano le 16 ore.
Non è un’eccezione. Almeno altri 30 ospedali italiani sono in condizioni simili, secondo fonti incrociate di sindacati e ordini dei medici. Tuttavia, questi dati non vengono raccolti in modo sistematico e non esiste un database nazionale aggiornato e trasparente.
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Le “liste nere” regionali: il caso Emilia-Romagna
Una fonte interna all’Ausl di Bologna ha confermato l’esistenza, non ufficiale, di una “lista nera” dei reparti a rischio chiusura o commissariamento per inefficienze croniche. “Ogni trimestre viene fatto un monitoraggio. Ma i dati non escono, perché temono la reazione dell’opinione pubblica”, afferma sotto anonimato un dirigente sanitario.
Secondo questa fonte, la situazione è particolarmente critica nei reparti di chirurgia generale, oncologia e geriatria, dove la domanda di cure supera costantemente la capacità ricettiva.
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Un grido d’allarme ignorato
Nonostante tutto, il tema resta ai margini del dibattito politico. Nessun grande leader di partito ha inserito il collasso ospedaliero tra le priorità dell’agenda, nemmeno in campagna elettorale. Il ministro della Salute, interpellato più volte da stampa e sindacati, ha risposto il 30 aprile 2025 con un comunicato generico che parla di “potenziamento della rete territoriale e digitalizzazione dei processi”. Nulla di concreto.
Nel frattempo, cresce il disagio fra i cittadini. Le segnalazioni di disservizi raccolte da Cittadinanzattiva sono aumentate del 47% nel primo trimestre 2025 rispetto allo stesso periodo del 2024. Le principali lamentele riguardano i tempi d’attesa, le dimissioni precoci, le aggressioni verbali e fisiche a medici e infermieri.
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Il tempo è scaduto
L’Italia rischia di perdere uno dei suoi pilastri fondamentali: il servizio sanitario pubblico universale. Il sistema è tecnicamente in piedi, ma sempre più vicino al collasso. Senza interventi strutturali immediati e coraggiosi, nei prossimi anni assisteremo a un’ulteriore fuga di professionisti, alla chiusura di reparti strategici e al rafforzamento della sanità privata per chi può permettersela.
Come ha dichiarato il professor Silvio Garattini: “Senza una rifondazione etica e organizzativa della sanità pubblica, continueremo a spendere male e ad ammalare peggio”.