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Sostenibilità d’impresa, l’Europa spinge ma concede tempo: cosa cambia con la direttiva Omnibus

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Sostenibilità d’impresa, l’Europa spinge ma concede tempo: cosa cambia con la direttiva Omnibus
La transizione verso un modello economico sostenibile non è più una scelta, ma un obbligo normativo. Tuttavia, l’Unione Europea ha deciso di modulare tempi e scadenze, con l’obiettivo di garantire alle imprese un percorso graduale di adeguamento. È questo il senso della direttiva Omnibus, recentemente al centro dell’attenzione anche in Italia. La novità principale? Un rinvio mirato degli obblighi di rendicontazione di sostenibilità per molte aziende, in particolare quelle di piccole e medie dimensioni. Un passaggio cruciale, se si considera che, in assenza di questa proroga, migliaia di realtà si sarebbero trovate impreparate di fronte a nuovi oneri burocratici e procedurali.

Sostenibilità d’impresa, l’Europa spinge ma concede tempo: cosa cambia con la direttiva Omnibus

L’entrata in vigore del Corporate Sustainability Reporting Directive (Csrd) ha imposto alle imprese europee nuovi standard di trasparenza sulle politiche ambientali, sociali e di governance. La direttiva Omnibus, nel suo aggiornamento di marzo, ha spostato l’applicazione di questi obblighi per le aziende che non sono ancora soggette alle regole della rendicontazione non finanziaria. La Commissione ha giustificato la decisione con un dato evidente: le linee guida europee per la redazione dei bilanci di sostenibilità (note come Efrag Esrs) sono state pubblicate solo nel 2023, lasciando poco margine operativo alle imprese. In questo scenario, la gradualità diventa una forma di tutela, non un rallentamento.

Focus sulle Pmi e il nodo delle società capogruppo

Il rinvio della rendicontazione coinvolge in primo luogo le piccole e medie imprese quotate, che dovranno adeguarsi non più dal 2026, ma dal 2028. Ma non solo: anche le società capogruppo avranno più tempo per integrare nella propria rendicontazione i dati delle controllate, evitando il rischio di disallineamenti o sanzioni. La misura ha una ricaduta diretta sul tessuto economico italiano, caratterizzato da un altissimo numero di Pmi, spesso impreparate a gestire i flussi informativi richiesti dalla normativa. Si stima che, senza la proroga, oltre 3.000 aziende italiane avrebbero dovuto modificare radicalmente la propria governance già nei prossimi 18 mesi.

Verso una sostenibilità non solo formale

Il rinvio non deve essere letto come una marcia indietro sul piano dei principi. Al contrario, permette di rafforzare la qualità dei bilanci di sostenibilità, evitando approcci meramente compilativi. La sfida infatti non è solo tecnica: le imprese devono costruire una cultura della rendicontazione integrata, capace di tradurre gli obiettivi ESG (ambientali, sociali e di governance) in prassi operative e strategiche. A questo proposito, diversi ordini professionali – dai commercialisti agli avvocati – si stanno attrezzando per offrire alle aziende assistenza personalizzata, consapevoli che il cambiamento richiede nuove competenze e visione a lungo termine.

Il ruolo delle autorità di controllo e le prospettive future

Sul fronte dei controlli, resta la supervisione dell’Efrag, ma si intensifica anche il ruolo delle autorità nazionali, tra cui Consob e il collegio sindacale delle società soggette all’obbligo. La prospettiva è quella di un allineamento tra governance aziendale e obiettivi europei di sostenibilità, in vista del 2030. In questo contesto, le imprese italiane si trovano davanti a una biforcazione: cogliere l’opportunità per innovarsi oppure limitarsi a un adempimento formale. La direttiva Omnibus apre una finestra di tempo, ma non lascia spazio all’inazione: il percorso verso una nuova responsabilità d’impresa è solo iniziato.
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