“I have a dream”: ricorre l’anniversario di un sogno infranto

- di: Barbara Bizzarri
 
Sono passati sessant’anni, ma neanche un giorno da quando, il 28 agosto del 1963, l'attivista, politico e pastore protestante statunitense Martin Luther King raccontava a milioni di persone il suo sogno di una nazione libera da ingiustizie, oppressioni e, soprattutto, dal razzismo che permea gli Stati Uniti allora come oggi, anche se in forme diverse.  Dal Lincoln Memorial di Washington, quelle parole indimenticabili, 'I Have a Dream', hanno attraversato gli anni, sostenute anche dalla folla che, poco prima, aveva marciato verso la capitale nella più grande protesta per i diritti nella storia degli Stati Uniti. Poi, nel 1965, il Congresso approvò il 'Voting Rights Act', la legge che proibiva la discriminazione razziale nel voto. Sessant'anni dopo, e proprio come l'allora presidente John F. Kennedy incontrò il reverendo, il presidente americano Joe Biden e la sua vice Kamala Harris riceveranno nello Studio Ovale della Casa Bianca gli organizzatori di quel raduno del 1963 e i figli di Martin Luther King, che morì assassinato a Memphis cinque anni dopo.

Nonostante le celebrazioni, però, gli Stati Uniti sono ancora funestati da razzismo e discriminazioni, in uno scenario cupo che lascia tuttora incompiuto il sogno dell’attivista. Mentre il 26 agosto migliaia di persone marciavano nella capitale per ricordare la protesta, a Jacksonville, in Florida, si compiva l'ennesima strage: un ragazzo di circa vent'anni, Ryan Christopher Palmeter, armato di pistola Glock e fucile d'assalto AR-15, ha ucciso due uomini e una donna afroamericani e poi si è tolto la vita. Non solo, dalla Florida di Ron DeSantis ad altri stati repubblicani, la commemorazione dei sessant'anni del discorso si svolge in un frangente in cui il diritto di voto è costantemente messo in discussione, e la Corte Suprema ha ribaltato l'affirmative action, la discriminazione costruttiva che mira a proteggere e promuovere categorie sottorappresentate per motivi di genere, sessuale o etnico. 

Inoltre, sono sempre più pressanti le minacce e le dichiarazioni di odio contro la comunità Lgbtq+ e gli ebrei: “Le richieste per l'uguaglianza economica, sociale e razziale non sono state soddisfatte - ha dichiarato Martin Luther King III, il figlio maggiore, ribadendo che sua figlia "Yolanda Renee aveva più diritti quando è nata, nel 2008, che adesso. Ha meno diritti di sua madre, sua nonna e la sua bisnonna. Abbiamo libertà, giustizia ed uguaglianza oggi? No. Sono stati fatti grandi passi, ma si è anche tornati indietro". A dimostrarlo, se ce ne fosse, bisogno, l'improvviso ed enorme successo di Oliver Anthony, cantante folk della Virginia, sconosciuto fino a un paio di settimane fa, che con la sua «Rich men north of Richmond», al primo posto dei singoli e dei video più ascoltati e visualizzati sul web, che scatta la fotografia di un'America povera, sfruttata con «paghe di merda» ed esausta torna a casa a ingozzarsi di junk food e birra fino al giorno successivo, senza speranza. I Repubblicani hanno provato a cavalcarne il messaggio, in chiave anti-Biden. Quando il suo video è stato trasmesso all'inizio del dibattito tra i candidati Gop su Fox News. Anthony ha subito preso le distanze: «Pensavo proprio alle persone su quel palco, quando l'ho scritta. Questa cosa va ben oltre Biden, ha a che fare con lo stato di questo Paese, al di là di destra e sinistra». Su YouTube, tra i tanti, c'è un video, con milioni di visualizzazioni, in cui un gruppo di ascolto di afroamericani, lontanissimi dalle sonorità country, plaude alla sua canzone, a testimonianza che il duro cuore dell’America è sempre pulsante, e non si è ancora completamente sciolto. 
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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