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Pensioni, è allarme: c’è un buco da 6,6 miliardi a causa dei condoni

- di: Matteo Borrelli
 
Pensioni, è allarme: c’è un buco da 6,6 miliardi a causa dei condoni

(Foto: l'ad di ExilorLuxottica, Francesco Milleri) 

 Un’offensiva in piena regola, con truppe schierate e obiettivi dichiarati: conquistare Mediobanca, la regina della finanza italiana. In testa alla carica c’è Luigi Lovaglio, ceo di Mps, che giovedì 17 aprile si presenterà all’assemblea con una mano da pokerista esperto: sostegni già in cassaforte, dossier Consob aggiornato e una narrazione strategica cucita ad arte. Il banco? Potrebbe saltare.

Banco Bpm e Anima, l’asse che ribalta il tavolo
Il colpo di scena arriva lunedì sera: Banco Bpm e Anima Holding, rispettivamente col 5% e il 4% del capitale di Mps, hanno deciso di appoggiare l’aumento di capitale da 2,23 miliardi di euro che finanzierà l’Ops su Mediobanca.
Un’operazione tutta in carta, valutata 13,3 miliardi, che punta a ribaltare gli equilibri del sistema bancario nazionale.
Con la decisione del gruppo guidato da Giuseppe Castagna e della sgr controllata al 90% dallo stesso Banco, Lovaglio arriva all’assemblea forte di circa il 50% dei voti. Il pacchetto comprende il Ministero dell’Economia (11,7%), Delfin (9,8%), Caltagirone (almeno 7%, secondo fonti di mercato), Enpam, fondazioni bancarie, Algebris e ora anche i nuovi alleati.

Il terzo polo (che non c’è ancora)
L’operazione ha un’ambizione chiara: creare un terzo polo bancario italiano, in caso di naufragio dell’ops rivale lanciata da UniCredit su Mps (e mai veramente decollata). In un colpo solo, Siena integrerebbe la banca d’affari simbolo del capitalismo italiano, dando vita a un mostro ibrido: banca commerciale + merchant bank.
Una mossa che spaventa non solo Piazzetta Cuccia, ma anche parte della finanza internazionale.

Fondi internazionali: si alzano gli scudi

I proxy advisor sono divisi: Glass Lewis dice sì, Iss boccia l’operazione come “priva di coerenza industriale” – una diagnosi che a Siena bollano come “superficiale”.
Nel frattempo, Pimco (1,5%) e Norges Bank (2,6%) si sono già schierati a favore. Ma una serie di fondi Usa – New York City Comptroller, Calvert, Calstrs, Sba Florida – hanno annunciato voto contrario.
Il quorum per l’ok all’aumento? Due terzi dei presenti. Secondo le previsioni, l’affluenza sarà tra il 70% e il 75%. Si gioca tutto sul filo.

Milleri benedice l’operazione: “Sistema Italia più forte”
Dal quartier generale di EssilorLuxottica, l’ad Francesco Milleri – anche presidente di Delfin, la cassaforte della famiglia Del Vecchio – ha dato il via libera con un endorsement di peso:
“Sosteniamo operazioni che rafforzano il tessuto industriale e rendono più competitivo il sistema finanziario italiano”.
Una visione quasi “industriale” della finanza, dove la mossa Mps-Mediobanca viene letta come una risposta strategica alla stagnazione degli ultimi anni.

Nagel all’attacco: “Un matrimonio sbagliato”
Non si è fatta attendere la replica di Alberto Nagel, ceo di Mediobanca, che ha definito l’Ops “distruttiva di valore” e “priva di razionale”. Un attacco frontale, dietro cui si legge la volontà di difendere un modello autonomo, basato su asset management, controllo di Generali e advisory di fascia alta.
Tradotto: un matrimonio con Mps cambierebbe radicalmente il dna della banca milanese. E a Cuccia non intendono farsi annettere senza combattere.

Le trappole tecniche: dis-sinergie e crediti fiscali
Nel nuovo documento Consob diffuso martedì Mps minimizza i rischi: le dis-sinergie sono stimate in 15-20 milioni di euro, a fronte di benefici stimati ben più alti.
Ma avverte: se le adesioni saranno inferiori al 50%, non potrà accelerare l’uso delle Dta, i crediti fiscali che rappresentano una delle principali leve di valore dell’operazione.

Chi comanda dopo? Lo scenario post-fusione
Se l’Ops passerà e avrà successo, il nuovo azionariato di Mps vedrà Delfin al 15-20%, seguita da Caltagirone, Mef, Banco-Anima e Mediolanum.
Ma attenzione: nessuna decisione è stata presa sulla soglia irrinunciabile. Significa che, in teoria, anche con meno del 66,7% l’operazione potrebbe andare avanti.
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Tutto si decide giovedì
È una partita ad alta tensione, e stavolta la finanza italiana non si gioca solo a Milano o a Siena, ma anche a New York e Oslo.
Giovedì 17 aprile si vota. E sarà il giorno in cui si capirà se Mps potrà davvero cambiare pelle. O se dovrà accontentarsi di restare – ancora una volta – l’eterno incompiuto del risiko bancario italiano.


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