Nel primo anno di applicazione della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), le imprese italiane hanno prodotto report di sostenibilità significativamente più lunghi e articolati. Lo conferma una ricerca condotta dai professori Marco Maria Mattei e Andrea Caccialanza dell’Università di Bologna e promossa da LS Lexjus Sinacta, che segnala un aumento del 68% nel numero di parole, salite da una media di 17mila nel 2023 a oltre 29mila nel 2024, e una crescita del 47% nel numero di pagine. Il cambiamento rispecchia l’adeguamento agli European Sustainability Reporting Standards (ESRS), che impongono criteri più dettagliati e strutturati in ambito ambientale, sociale e di governance.
Rendicontazione ESG, Italia in ritardo e report più complessi: l’UE valuta una revisione degli standard
L’indagine ha anche evidenziato una trasformazione nei contenuti: il tono medio dei documenti è diventato più negativo secondo l’indice Loughran-McDonald, con un’attenzione marcata ai rischi e agli impatti potenzialmente dannosi delle attività aziendali. Le frasi risultano più lunghe, il linguaggio più tecnico, e l’uso delle subordinate più frequente. Anche la struttura visuale dei report è cambiata: meno immagini e più tabelle, a scapito della leggibilità per un pubblico non specializzato. L’obiettivo di migliorare la trasparenza rischia così di essere compromesso da una complessità eccessiva che allontana stakeholder e cittadini.
Le PMI italiane tra obblighi crescenti e difficoltà applicative
Il campione osservato, costituito da 100 imprese italiane, suggerisce che le PMI stanno affrontando con fatica il nuovo impianto normativo. Se da un lato la CSRD punta a uniformare e rafforzare la qualità della rendicontazione ESG a livello europeo, dall’altro le aziende più piccole lamentano difficoltà pratiche e operative, soprattutto nella raccolta e nella gestione dei dati richiesti. In molti casi, la rendicontazione diventa un esercizio tecnico poco efficace per comunicare realmente gli impegni di sostenibilità.
Bruxelles valuta una revisione della normativa per alleggerire gli oneri
A livello internazionale, si moltiplicano le pressioni per una revisione degli obblighi previsti dalla CSRD. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal e da Reuters, alcuni Stati membri dell’Unione Europea spingono per rinviare o alleggerire gli standard di sostenibilità, giudicati eccessivamente onerosi, soprattutto per le PMI. Il Financial Times ha evidenziato come il dibattito sia ancora acceso tra chi teme un arretramento sugli impegni climatici e chi, invece, ritiene che l’iper-regolamentazione rischi di frenare l’innovazione e lo sviluppo economico. Anche Vogue Business, in un’analisi di febbraio 2025, ha rilevato che la Commissione UE sta valutando una semplificazione delle regole per rendere la rendicontazione più accessibile e meno burocratica, senza rinunciare alla trasparenza.
Il rischio di una sostenibilità solo formale
In questo contesto, la sostenibilità rischia di trasformarsi in un adempimento formale più che in una leva strategica. La ricerca italiana sottolinea che l’efficacia della rendicontazione dipenderà sempre di più dalla capacità delle aziende di integrare realmente i principi ESG nei propri modelli di business e non solo nei bilanci. Tuttavia, per farlo, sarà necessario investire in competenze, risorse e strumenti digitali, in un equilibrio difficile tra obblighi normativi e reale accessibilità comunicativa. Se l’Unione Europea non riuscirà a trovare un punto di sintesi, l’ambizione di una rendicontazione ESG universale e incisiva potrebbe perdere credibilità, sia per le imprese che per i cittadini.