Sembra un’opera teatrale, invece è tennis. Ma c’è tutto: la tensione, il dominio, l’attesa e quella bellezza antica che solo Parigi riesce a dare. Jannik Sinner ha scritto un altro capitolo di questa sua stagione che ormai ha la forma di una cavalcata. Al Roland Garros ha domato Andrey Rublev in tre atti netti (6-4, 6-3, 6-4), mai troppo lunghi, mai banali. Un match in cui il numero uno del mondo ha fatto quello che fanno i grandi: ha dettato il copione, ha diretto la scena, ha gestito il ritmo come fosse la partitura di un violino.
Roland Garros, Sinner batte Rublev e avanza: ai quarti c’è Bublik
Rublev ha provato a entrare, come un attore che cerca spazio in un monologo altrui. Ma Jannik non gli ha lasciato nemmeno il respiro per farlo. Solido al servizio, intelligente nel colpire dove fa più male, pronto a salire quando serve e a chiudere con classe. Nessun gesto eclatante, nessuna smorfia, nessuna parola fuori posto. Solo tennis, solo cuore, solo ghiaccio. Quello che scorre nelle vene quando conta davvero.
Una vittoria silenziosa e pesante
C’è una potenza silenziosa nel modo in cui Sinner si prende i match. Non è il tipo che urla al cielo o batte il petto. È l’atleta che lavora sottotraccia e poi ti sorprende con una bellezza geometrica, con una profondità che sposta l’equilibrio un centimetro alla volta. Contro Rublev, è bastato spingere su quella distanza psicologica che separa i campioni da chi rincorre sempre la sua occasione. Il russo ha accusato, ha sbagliato, ha ceduto. Non per rassegnazione, ma per impotenza.
Sinner lo ha capito subito e ha continuato a costruire: palle corte chirurgiche, rovesci profondi, una gestione dei momenti chiave che assomiglia sempre più a quella dei grandi del passato. In tribuna, lo si ascoltava come si ascolta un solista in un teatro antico. Perché Jannik, oggi, è anche questo: un’idea di perfezione in divenire, che emoziona anche quando non fa rumore.
Bublik, lo sfidante che viene da un altro mondo
Ora, nei quarti, c’è Alexander Bublik. Il kazako è il contrario di Sinner: estroso, imprevedibile, a volte geniale, a volte autodistruttivo. È tennis liquido, liquido come questo tempo che scorre veloce. Per Sinner sarà una sfida anche psicologica. Come contenere il caos e trasformarlo in rigore. Come tenere salda la barra del timone mentre l’altro balla sul ponte. Ma è anche il tipo di partita che può consacrare ulteriormente l’italiano: perché è in queste partite che si riconoscono i leader.
Una racchetta per raccontare l’Italia
E poi c’è quella sensazione che si fa sempre più concreta: l’Italia tennistica è nelle mani di Jannik. Ma non solo. Il suo viaggio parigino è anche un po’ il nostro. Perché ogni suo dritto sembra un invito a crederci. Perché ogni suo rovescio lungo linea sembra dirci che sì, c’è un tempo per l’eleganza e uno per la forza. E che la bellezza, quando incontra la tenacia, può davvero arrivare fino in fondo.
Lui lo sa. Lo sanno quelli che lo seguono silenziosi dalle Dolomiti al Foro Italico. E ora anche il Philippe Chatrier, che comincia ad applaudirlo con quella riverenza che Parigi riserva ai predestinati. Il viaggio continua. Con Jannik in copertina, e l’Italia che sogna in calce.