Giustizia: dove porterà il contrasto esploso tra governo e magistratura?

- di: Redazione
 
Non è mai un bel momento quando tra i poteri dello Stato - legislativo, esecutivo e giudiziario - si manifestano dei contrasti, perché rappresentano una difficoltà di dialogo, che invece dovrebbe sempre essere ricercato, rappresentando essi ''semplicemente'' la Repubblica, quella nata dai valori che ci sono stati lasciati da chi si è battuto per la democrazia.
Lascia, quindi, un retrogusto amaro apprendere che un potere - quello esecutivo, cioè il governo - contesta l'operato di quello giudiziario, senza entrare nel merito specifico della contestazione, ovvero gli episodi che sembrano avere originato la presa di posizione.

Giustizia: dove porterà il contrasto esploso tra governo e magistratura?

Il fatto che affermazioni molto decise - ''e' lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione e di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee" - siano, come da prassi, attribuite a ''fonti di Palazzo Chigi'' deve fare pensare che di esse Giorgia Meloni sia stata perfettamente a conoscenza. Anzi, tutto lascia ritenere che il presidente del Consiglio abbia interpretato recenti eventi (le accuse contro il ministro del Turismo, Daniela Santanchè, per fatti che riguardano le precedenti sue attività imprenditoriali, e il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, per avere condiviso con un compagno di partito dei documenti sul cui profilo di riservatezza o segretezza ancora oggi si discute) proprio nel senso della nota, ovvero una invasione di campo della magistratura che vedrebbe nel governo di destra-centro un avversario da osteggiare, un nemico da battere, facendo ricorso a tutto quello che i codici consentono.

Come si capisce, uno scenario complesso e che lascia aperte molte questioni, la prima delle quali è quella ipotizzata dalle ''fonti di Palazzo Chigi'', cioè che una parte della società italiana che non si riconosce nella nuova maggioranza di governo la stia contrastando con le armi che ha a sua disposizione. Quelle stesse che un tempo si attribuivano alla ''magistratura militante''. Con tanti saluti all'equità del giudizio.
Torniamo a ripetere di non volere entrare nel merito delle contestazioni mosse a Santanchè e Delmastro (decideranno i giudici sulla loro fondatezza), ma certo è che la contestualità degli eventi può ingenerare qualche dubbio.
Fatte salve le facoltà dei magistrati di decidere i tempi delle loro azioni (posto che le azioni devono seguire un preciso codice di comportamento), resta difficile da capire il perché di una talmente ravvicinata pubblicizzazione di atti che, formalmente, dovrebbero seguire criteri di riservatezza. Ma, allo stesso modo in cui sottolineiamo i dubbi, dobbiamo rispettare i comportamenti dei magistrati che devono godere della massima fiducia, fino a incontrovertibile prova che essi questa stessa fiducia l'abbiano tradita o, peggio ancora, piegata a logiche che nulla hanno a che fare con l'amministrazione della giustizia.
Ci si consenta, infine, una sola considerazione su come, in casi del genere, gli involontari protagonisti scelgano i comportamenti da tenere.
Daniela Santanchè ha respinto ogni accusa, su tutta la linea, dicendosi sicuramente non raggiunta da alcuna comunicazione formale dei magistrati inquirenti, menando vanto della sua correttezza, con toni che, al netto dell'emozione che la situazione imponeva, forse sono andati un po' oltre le righe.

Andrea Delmastro, alla notizia della decisione del gip di Roma di chiedere per lui l'imputazione coatta (imponendo, quindi, al pm di formulare una richiesta di rinvio a giudizio), ha risposto con una nota che si distingue per sobrietà e rispetto dei ruoli: ''prendo atto della scelta del Gip di Roma che, contrariamente alla Procura, ha ritenuto necessario un approfondimento della vicenda giuridica che mi riguarda. Avrò modo, davanti al Giudice per l’udienza preliminare di insistere per il non luogo a procedere per insussistenza dell’elemento oggettivo, oltre che di quello soggettivo''.
Ben diversa la reazione del ministero della Giustizia che, sempre utilizzando la formula di ''fonti'' cui attribuire la paternità della nota, spara a palle incatenate contro la decisione del gip, definendola ''irragionevole'' e che conferma ''l'irrazionalità del nostro sistema'', per poi procedere ad una analisi che vuole essere una anticipazione di quel che accadrà, evidentemente non dando grande credito al ragionamento del giudice delle indagini preliminari: '' Nel processo che segue all'imputazione coatta l'accusa non farà altro che insistere nella richiesta di proscioglimento in coerenza con la richiesta di archiviazione.

Laddove, al contrario, chiederà una condanna non farà altro che contraddire se stesso. Nel processo accusatorio il Pubblico ministero, che non è né deve essere soggetto al potere esecutivo ed è assolutamente indipendente, è il monopolista dell'azione penale e quindi razionalmente non può essere smentito da un giudice sulla base di elementi cui l'accusatore stesso non crede".
"La grandissima parte delle imputazioni coatte si conclude, infatti, con assoluzioni dopo processi lunghi e dolorosi quanto inutili, con grande spreco di risorse umane ed economiche anche per le necessarie attività difensive. Per questo è necessaria una riforma radicale che attui pienamente il sistema accusatorio", conclude la nota.
Davanti a siffatte considerazioni, con quale animo si muoveranno pm e gip?
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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