È morto Papa Francesco, il pontefice che ha cambiato il volto della Chiesa
- di: Cristina Volpe Rinonapoli

Papa Francesco è morto questa mattina alle 7:35 nella sua residenza di Casa Santa Marta, dove aveva scelto di vivere fin dall’inizio del pontificato, rifiutando i fasti del Palazzo Apostolico. Aveva 88 anni. Le sue condizioni di salute, da tempo precarie, si erano aggravate nelle ultime settimane dopo un ricovero al Policlinico Gemelli per una polmonite bilaterale. Era stato dimesso il 23 marzo per proseguire la convalescenza nella residenza vaticana, ma non si era mai completamente ripreso. A darne l’annuncio è stato il cardinale Kevin Farrell: «Con profondo dolore devo annunciare la morte del nostro Santo Padre Francesco. La sua vita interamente è stata dedicata al servizio del Signore e della Sua Chiesa».
Il primo Papa venuto dall’America Latina
Jorge Mario Bergoglio era nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, figlio di emigrati piemontesi. Primo papa gesuita e primo latinoamericano, è stato eletto il 13 marzo 2013 al quinto scrutinio del Conclave, prendendo il nome di Francesco in omaggio al santo di Assisi. La scelta non fu solo simbolica: fu una dichiarazione di intenti. Da quel momento, la sua figura ha rappresentato uno scarto netto rispetto al passato, incarnando l’idea di una Chiesa vicina agli ultimi, povera tra i poveri, capace di uscire da se stessa per andare incontro al mondo.
Un pontificato di gesti e parole semplici
Fin dall’inizio Francesco ha stupito per la sobrietà dello stile. La rinuncia alla mozzetta rossa, la scelta di vivere a Santa Marta, la predilezione per i viaggi nelle periferie del mondo, tutto è stato parte di una coerente visione evangelica. Ha parlato il linguaggio della misericordia, preferendo il perdono alla condanna. «Chi sono io per giudicare?», disse nel 2013 a proposito delle persone omosessuali. Una frase che segnò una svolta, non dottrinale, ma pastorale, in una Chiesa che per secoli aveva alzato steccati.
Ha lavato i piedi ai detenuti, ha abbracciato i malati, ha baciato i disabili, ha accolto migranti. Ha predicato una Chiesa «ospedale da campo», chiamata ad accompagnare e non a escludere. E ha fatto del dialogo interreligioso un tratto distintivo, promuovendo incontri storici con leader musulmani, ebrei e ortodossi. Ha compiuto gesti profetici, come l’abbraccio con il grande imam di al-Azhar o la visita a Mosul devastata dalla guerra. Ha aperto spiragli, non senza resistenze, su temi come il celibato sacerdotale, il ruolo delle donne, l’accoglienza dei divorziati risposati.
Una Chiesa più sobria, più attenta, più libera
La riforma della Curia, avviata tra mille ostacoli, ha avuto nella costituzione apostolica Praedicate Evangelium il suo culmine: un riordino degli uffici vaticani, una maggiore trasparenza finanziaria, un’attenzione inedita alla sinodalità. Francesco ha voluto ridare parola alle Chiese locali, ha convocato sinodi non come atti formali, ma come spazi reali di ascolto. La sua lotta contro gli abusi sessuali nella Chiesa è stata costante, pur tra contraddizioni e attacchi, mostrando la volontà di rompere omertà e complicità storiche.
L’enciclica della terra, la politica della pace
Nel 2015 pubblica Laudato si’, un’enciclica che è insieme grido teologico ed eco-manifesto planetario. La cura del creato, la responsabilità verso le generazioni future, la denuncia di un sistema economico ingiusto e predatorio diventano per Francesco terreno di evangelizzazione. Nessun Papa prima di lui aveva parlato con tanta forza di ambiente, povertà e disuguaglianze come dimensioni intrecciate.
Il suo impegno per la pace è stato instancabile. Ha cercato mediazioni in Siria, in Ucraina, in America Latina. Non ha mai smesso di chiedere cessate il fuoco, corridoi umanitari, rispetto per la vita umana. Ha dialogato anche con chi sembrava irriducibile, cercando spazi di diplomazia spirituale dove la politica taceva.
Il declino fisico, la presenza ostinata
Negli ultimi anni, la sua salute lo aveva progressivamente indebolito. Interventi chirurgici, difficoltà respiratorie, fatica a camminare. Eppure Francesco non ha mai voluto arrendersi. Anche dopo l’ultimo ricovero, ha partecipato alle celebrazioni pasquali: affacciato alla loggia, visibilmente provato, aveva ancora benedetto “Urbi et Orbi” con un sorriso tenue ma presente. Il suo volto segnato dalla fatica è stato, anche in quell’occasione, immagine di una fede che non cede, che resta fino in fondo, anche nel corpo fragile, testimonianza viva.
Un’eredità che attraversa i confini
Con la morte di Papa Francesco si chiude una stagione irripetibile. Una stagione che ha restituito alla Chiesa cattolica un volto umano, aperto, inquieto. Non privo di contraddizioni, ma capace di parlare anche a chi non crede. Il suo pontificato ha rotto barriere, ha smosso acque stagnanti, ha posto domande più che offrire risposte definitive. Il suo Vangelo è stato quello delle Beatitudini, dei migranti, delle periferie urbane e spirituali, dei popoli dimenticati.
Francesco ha mostrato che si può essere pastori senza corona, che si può parlare al mondo con le parole di un uomo, non di un monarca. E che un Papa, se ha il coraggio di sporcarsi le mani e di abbassarsi, può davvero farsi prossimo. Ora che il suo tempo terreno si è concluso, resta un’eredità spirituale immensa, e una domanda sospesa: la Chiesa saprà raccogliere e continuare questo cammino?
Le campane di San Pietro rintoccano a lutto. Il trono è vuoto, ma la sua voce resta. Francesco non c’è più. Eppure ci sarà.