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La protesta che scuote l'Iran dilaga nel mondo

- di: Redazione
 
La protesta che scuote l'Iran dilaga nel mondo
L'Iran era da tempo una polveriera sociale che aspettava solo una scintilla per esplodere. A innescare la rivolta - che sta avendo dei risvolti drammatici, con decine di morti e centinaia di arresti, spesso giustificati solo dalla volontà del regime teocratico di riaffermare la sua forza - è stata la morte di Mahsa Amini, uccisa da una squadraccia (due uomini e due donne) della polizia della morale perché dal velo che le copriva la testa era uscita una ciocca di capelli.
Una morte che ha inorridito il mondo e che ha spinto decine di migliaia di iraniani a scendere in strada per urlare la loro ribellione ad un sistema che soffoca ogni libertà di espressione che oltrepassi, anche solo di una parola, i confini eretti dal regime a sua difesa e tutela. Ad aumentare i timori che la repressione aumenti la sua rabbiosa intensità ci sono anche le notizie che riguardano l'arresto di una decina di stranieri, tra i quali c'è anche una ragazza italiana, la trentenne romana Alessia Piperno, viaggiatrice per passione, che il caso ha voluto si trovasse in Iran all'esplodere della protesta.

Si espandono le proteste per ciò che sta accadendo in Iran

Le vicende iraniane, comunque, non possono essere liquidate come qualcosa che riguarda solo quel bellissimo eppure sfortunato Paese, perché sono comunque un indicatore di come spesso la condizione della donna nei Paesi musulmani sia marginale ed emarginata (l'Afghanistan è solo la punta di un iceberg integralista), quasi che il sesso possa determinare la possibilità di accesso alle opportunità, ma soprattutto al diritto di non essere costrette a soffocare la propria femminilità.

Non tutti i Paesi musulmani sono così (sarebbe un errore gravissimo cadere nella facile generalizzazione): ve ne sono dove alle donne vengono garantiti eguali diritti e opportunità che agli uomini. Ma spesso questo resta sulla carta perché nella quotidianità della vita questo non accade.
Ma in Iran la rivolta scatenata dalla notizia che una ragazza era stata picchiata a morte per non avere indossato in modo corretto il velo è stata la conferma che un regime teocratico come quello degli ayatollah può vivere ed alimentarsi restringendo i margini delle libertà collettive.

Scendere in strada e manifestare diventa quindi l'atto finale di una rabbia covata da tempo soprattutto tra i più giovani, ai quali nemmeno il più duro dei regimi repressivi potrà impedire di sognare una vita migliore.
Già altre volte gli iraniani avevano protestato contro la rigidità delle regole imposte dal regime, ma questa volta l'eco della loro ribellione è volata ben oltre i confini del Paese, con tantissima gente a manifestare (soprattutto davanti alle rappresentanze diplomatiche di Teheran), con il taglio simbolico dei capelli gettati a terra come fossero essi simbolo di una oppressione.
Una protesta che ha visto coinvolti tanti uomini, di ogni età, quasi a volere confermare che gli iraniani non saranno lasciati soli. Ma questo si dice sempre e, una volta attenuatasi l'onda emozionale, il rischio è che il tempo che scorre attenui la rabbia, soffochi le voci, aumenti la paura.
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