Il ministro del Commercio cinese ha lanciato un allarme sulla condizione attuale dell’economia nazionale, definendola “molto grave e complessa”, durante un incontro con alti funzionari del partito e rappresentanti delle principali imprese statali. Il riferimento è a un rallentamento diffuso della crescita, aggravato da segnali negativi sui consumi interni, una contrazione delle esportazioni e un calo degli investimenti immobiliari, da tempo uno dei pilastri del sistema economico cinese. La dichiarazione ufficiale, riportata dai principali organi di stampa governativi, ha innescato una nuova ondata di preoccupazione sui mercati asiatici.
Cina, allarme del ministro del Commercio: “Fase economica molto grave e complessa”
“Alcune delle nostre politiche forniranno nuove risposte alla situazione”, ha spiegato il ministro, lasciando intendere che Pechino è pronta a intervenire con misure mirate, ma senza ricorrere a un maxi-stimolo fiscale come quello varato dopo la crisi del 2008. Secondo quanto trapelato da fonti vicine al Consiglio di Stato, il governo centrale lavorerà su “pacchetti tematici” destinati ai settori in maggiore difficoltà: tecnologia avanzata, export strategico, innovazione manifatturiera e sostenibilità urbana.
Crescita in affanno, fiducia dei consumatori ai minimi
Il malessere economico della Cina è ormai strutturale. Dopo la fine delle politiche ‘zero Covid’, l’attesa ripresa si è rivelata debole e irregolare. L’indice della fiducia dei consumatori è in discesa da sei mesi consecutivi, mentre la disoccupazione giovanile, secondo stime indipendenti, supera abbondantemente il 20%. Anche i colossi del commercio elettronico e dell’auto elettrica, due dei settori trainanti degli ultimi anni, segnalano cali significativi nella domanda domestica. Il governo teme ora una spirale depressiva alimentata da stagnazione salariale, debito locale e bassa natalità.
Crisi del real estate e instabilità locale
Uno dei nodi più gravi resta la crisi del settore immobiliare. I grandi sviluppatori, come Evergrande e Country Garden, continuano a navigare tra insolvenze e ristrutturazioni. L’effetto domino si sta riflettendo sugli enti locali, che avevano fatto del mattone la principale fonte di entrate attraverso la vendita dei diritti d’uso del suolo. Le autorità provinciali ora faticano a finanziare i servizi pubblici essenziali, come sanità e istruzione. Il ministero delle Finanze ha ordinato una revisione straordinaria del debito contratto da circa 2.000 enti sub-statali.
Le reazioni dei mercati: instabilità e fuga dal rischio
Le parole del ministro hanno avuto un effetto immediato sulle borse asiatiche. L’indice Hang Seng ha perso oltre il 2,5%, mentre Shanghai e Shenzhen hanno registrato le peggiori performance degli ultimi due mesi. Gli investitori stranieri stanno riducendo l’esposizione, temendo che il governo cinese possa non avere gli strumenti — o la volontà politica — per attuare riforme strutturali profonde. Il renminbi ha subito una svalutazione improvvisa sul dollaro, scendendo sotto la soglia psicologica dei 7,3 yuan per USD.
Il dilemma di Xi: controllo politico o riforme strutturali?
Dietro il linguaggio tecnocratico, si intravede un dilemma più profondo: il Partito Comunista è pronto a cedere parte del controllo economico per rilanciare la crescita? Finora la strategia di Xi Jinping ha privilegiato la stabilità sociale e la centralizzazione del potere, anche a costo di soffocare l’iniziativa privata e l’apertura al capitale straniero. Gli economisti più critici parlano di “trappola dell’autoritarismo economico”, mentre le élite imprenditoriali cinesi chiedono una nuova stagione di liberalizzazioni.
La risposta globale: attesa e diffidenza
Le cancellerie occidentali e le grandi istituzioni finanziarie internazionali osservano con cautela. Il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita per Pechino, stimando un’espansione del PIL attorno al 4,8% per il 2025, ben al di sotto degli standard cinesi degli ultimi decenni. Washington monitora da vicino l’evoluzione, preoccupata da una possibile instabilità finanziaria che potrebbe ripercuotersi a livello globale. Anche l’Unione Europea guarda con diffidenza alla politica industriale cinese, considerata troppo opaca e incentrata sul sostegno pubblico.
Una nuova fase per il gigante asiatico
Le parole del ministro del Commercio segnano l’inizio di una fase nuova per la Cina: non più locomotiva inarrestabile, ma gigante in equilibrio precario. Pechino dovrà decidere se aprirsi a un modello economico più flessibile e orientato al mercato o rafforzare ulteriormente il controllo statale a rischio di stagnazione. Una scelta che peserà non solo sul futuro interno, ma sull’intero equilibrio economico mondiale.