Disastro in Romagna, la lezione da cogliere

 
Gli eventi disastrosi che hanno recentemente colpito la Romagna si prestano, a mio parere, al di là del dolore per le vittime e al plauso per la generosità dei giovani volontari, a qualche riflessione sulla validità del nostro sviluppo economico.

Disastro in Romagna, la lezione da cogliere

La crisi ambientale è una manifestazione della inefficienza del nostro modello di vita, che ha affidato la crescita della produzione e dei consumi al mercato. Questa delega ha dimostrato tutta l’insufficienza del modello neoliberista. Infatti, la crisi ecologica, che viene evidenziata dalle inondazioni in Romagna, è la conseguenza di un modello di sviluppo, i cui limiti, non sostenibili, sono soprattutto strutturali. Il non aver progettato adeguati scarichi fognari oppure un numero sufficiente di vasche di contenimento delle acque tracimate non è il frutto di cattiva amministrazione. La Regione Emilia Romagna è, da sempre, governata decentemente. In Romagna, la terra ha reagito all’uso irresponsabile e all’abuso dei beni che la natura ha donato agli uomini. In verità, gli abitanti della Terra non hanno ancora preso piena coscienza dei limiti impliciti nell’uso dei beni. Non si è tenuto conto, cioè, nella dovuta misura delle implicazioni economiche, sociali ed etiche, presenti in una politica di debole tutela dell’ambiente.

Risale solo agli anni ottanta una maggiore consapevolezza della necessità di perseguire una crescita sostenibile; che non è solo un problema di applicazione di tecnologie avanzate, ma anche etico e sociale, nel presupposto che uno stile di vita non contempli comportamenti di abuso e di violenza nei confronti dell’ambiente. Sono, cioè, da considerare leciti solo gli interventi sull’ambiente che consentono livelli dignitosi di vita a vantaggio di tutti, evitando di trasformare il nostro pianeta in una discarica a cielo aperto. La crisi ambientale dimostra che vi sono dei limiti nella libertà dell’uomo nell’uso della natura: il deterioramento dell’ambiente condiziona anche la dignità dell’uomo, che viene sottomessa agli interessi economici, riducendo il suo grado di autonomia.

La crisi ambientale, che, appunto, caratterizza i nostri giorni, appare irreversibile se viene lasciata a sé; può, invece, essere contrastata da un cambiamento nel funzionamento dell’economia a cominciare dalla riduzione delle diversità sociali; basti pensare che il 20% della popolazione consuma l’80% delle risorse disponibili. Non solo, ogni anno, i consumi sono circa una volta e mezza superiori ai beni prodotti. Inoltre, secondo Luciano Gallino (“Una civiltà in crisi”), se i consumi di tutta la popolazione terrestre si allineassero a quelli dei paesi più sviluppati, occorrerebbe poter disporre di altre quattro-cinque Terre.

È dunque ragionevole auspicare un significativo cambiamento nelle politiche economiche dei vari paesi, iniziando dal modello neo-liberista, introducendo, per prima cosa, una forte correzione nel modo di gestire la finanza, portandola ad occuparsi, il più possibile, dell’ economia reale: imprese manifatturiere, infrastrutture, scuole, ospedali, etc.. La tutela dell’ambiente è il primo banco di prova.

A questo proposito, c’è da aggiungere lo scandalo dello spreco alimentare: un terzo del cibo prodotto viene sprecato. E non per colpa dell’incremento demografico, bensì per l’ irresponsabilità dei modi di vivere delle elites sociali. Lo sviluppo dei paesi più ricchi è pagato dai paesi arretrati, a discapito delle loro grandi riserve naturali.

Dunque, la prima cosa da fare è salvare l’uomo da se stesso, ponendo fine al mito della crescita infinita dei consumi, quale felicità terrena. Come si legge nell’enciclica di Papa Francesco” Laudato Si“, un vero approccio ecologico implica un radicale esame dei processi economici e sociali, che metta in discussione il nostro modo di vivere e il nostro egoismo, che è tutto a danno dei più deboli. Infatti, Papa Francesco sostiene che un approccio ecologico corretto non può non tenere conto dei diritti dei più poveri. Sempre in “Laudato Si“, si sottolinea che l’umanità ha attraversato un periodo di grande sviluppo tecnologico, tuttavia evidenzia che l’uomo, contemporaneamente, non si è educato all’uso sostenibile della potenza tecnologica. Non ne ha riconosciuti i limiti. Non è stato, fino ad oggi, disponibile a riconoscere che vi sono dei limiti alla manipolazione delle risorse naturali.

Ciò accade anche perché i vari partiti, e la politica in generale, hanno rinunciato ad una seria politica di cambiamento per la salvaguardia dell’ambiente. Hanno creduto, o fatto finta, di ritenere fondata la favola della crescita continua, ignorando, tra l’altro, i segnali provenienti dalla crisi finanziaria del 2008.

Sicuramente gli abitanti della Romagna, in pochi anni, ricostruiranno egregiamente le fabbriche, le scuole, gli ospedali, le case etc. Il territorio tornerà migliore di prima, il sistema produttivo più competitivo. Questa positiva e virtuosa prospettiva ha il limite di illudere la dirigenza politica che il disastro ecologico sia stato neutralizzato e superato. Nulla di più errato. L’uscita da una congiuntura avversa non significa aver salvaguardato nel futuro l’ambiente. Perché non si ripetano i disastri ecologici, bisogna modificare le cause strutturali che li provocano. In altre parole, l’imputato è, come già evidenziato, il nostro modello di sviluppo che, come sostiene Papa Francesco, non tiene abbastanza in considerazione il suo valore più assoluto: la sopravvivenza del genere umano.

È, inoltre, auspicabile che i finanziamenti e i contributi erogati per la ricostruzione siano vincolati a favorire la messa in funzione di aziende sostenibili dal punto di vista ambientale e che siano affidabili sul piano della sicurezza del lavoro. La Romagna può essere un esempio di innovazione nella tutela dell’ambiente, realizzando un’alta qualità di vita ecologicamente sostenibile.

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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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