No all'estradizione dei Br: dalla Francia un altro arrogante schiaffo alla giustizia italiana

- di: Redazione
 
Per assurdo che possa apparire - e ci scusiamo se questa nostra riflessione possa sembrare come troppo accademica o, peggio, irrispettosa per la memoria delle vittime -, la decisione della Corte di Cassazione francese di respingere, questa volta in modo definitivo, la richiesta della magistratura e del governo italiani di estradare dieci terroristi rossi (non chiamiamoli ''ex'', per favore!!), è una conferma della democrazia, perché ha visto il potere giudiziario sottrarsi alle pressioni di quello esecutivo. Come è forse giusto che accada nella patria di Montesquieu.

No all'estradizione dei Br: dalla Francia un altro arrogante schiaffo alla giustizia italiana

Il ragionamento è abbastanza semplice, anche se, per noi italiani, è una ferita che non sarà mai rimarginata, essendo la decisione della Cassazione francese un chiaro disconoscimento dei valori della nostra Giustizia, contestando innanzitutto il diritto di un Paese a giudicare un imputato/imputata anche se lui o lei hanno deciso di sottrarsi, con la latitanza, ad un processo.
E' la contumacia che per Parigi lede i diritti degli imputati, mentre per noi italiani è un modo per evitare che un presunto colpevole decida da solo i tempi del suo processo. Sarebbero dispute soltanto giurisprudenziali se, per motivare la sua decisione, la massima assise francese non facesse riferimento al troppo tempo trascorso dalle condanne in Italia e, comunque, da quello passato dagli eventi, quasi che questo potesse mondare dalle responsabilità. Per la Cassazione il fatto che per decine di anni i terroristi condannati in Italia in Francia non abbiano violato la legge, comportandosi da perfetti cittadini (francesi), è già di per sé un elemento che renderebbe ingiusta l'estradizione in Italia, dove scontare le condanne.

I terroristi espatriati in Francia, grazie a quella che fu definita (e purtroppo continua ad esserlo anche oggi) la Dottrina Mitterand, quindi ora sono liberi di continuare la loro vita, quasi che nulla abbiano fatto, quasi che le condanne a loro carico siano state per reati di opinione e non invece per fatti violenti, di sangue. Come peraltro certificato anche dal fatto che mai, dalla maggior parte di loro, ci sia stata un'espressione di pentimento. Ad eccezione di qualche riferimento al clima degli anni del terrorismo attivo, nessuno dei beneficiari della accoglienza in terra di Francia ha mai ammesso di avere sbagliato, ha mai ammesso di avere coinvolto, nei loro disegni politici, anche degli innocenti, che hanno pagato con la vita un incarico, un impegno politico o anche solo il fatto di indossare una divisa.
Quella ''dottrina'' tale non era perché, come poi ripetutamente chiarito, non poteva essere accolta dalla magistratura francese poiché a generarla non ci fu mai una legge, un decreto, essendo essa la conseguenza dell'applicazione pratica del contenuto di un paio di interventi pubblici fatti dall'allora presidente Mitterand, che mai nemmeno pensò di fare passare per l'Assemblea nazionale la sua particolare concezione del rispetto della giustizia degli altri.

Cosa poi abbia indotto, veramente, il presidente francese a decidere, motu proprio, che i terroristi ''rossi'' trovassero in Francia accoglienza e riparo resta ancora un quesito irrisolto, perché quella liberalità nei confronti di un determinato schieramento non fu concessa anche a chi non condivideva gli stessi sentimenti (smettiamoli di chiamarli valori) e che si erano macchiati di delitti e giudicati in contumacia.
Ma la cosa che più stride, oggi come ieri, è che la Francia - quella giudiziaria, poiché quella politica aveva sollecitato l'accoglimento delle richieste italiane - non intenda proprio scendere dal piedistallo che essa si riconosce e che la pone come un gradino sopra gli altri, ma soprattutto l'Italia. Disconoscere la validità di una sentenza di condanna emessa da un Paese di antichissima civiltà giuridica è un semplice atto di arroganza e nulla di più. Verrebbe ora da chiedersi quale sarebbe potuta essere la reazione dei giudici francesi se un Paese amico (quale dovrebbe appunto essere l'Italia nei confronti di Parigi) avesse accolto uno dei terroristi dell'Oas o di Action Directe, la formazione armata di sinistra che animò le cronache soprattutto negli anni '80. Ma si sa, la Francia è un mondo a sé, dove l'autostima, portata all'esasperazione, è un modo di essere. A conferma di ciò anche la decisione di negare l'estradizione di Vincenzo Vecchi, l'anarchico condannato a 13 anni e tre mesi di reclusione per i disordini del G8 di Genova. La spiegazione è che nell'ordinamento francese non è previsto il reato di devastazione, contemplato da quello italiano e in base al quale Vecchi è stato condannato.
Il Magazine
Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
Iscriviti alla Newsletter
 
Tutti gli Articoli
Cerca gli articoli nel sito:
 
 
Vedi tutti gli articoli