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Gaza, Netanyahu: "Non vogliamo annettere, ma liberare". Pressioni interne e rischio per ostaggi

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Gaza, Netanyahu: 'Non vogliamo annettere, ma liberare'. Pressioni interne e rischio per ostaggi

"Non vogliamo annettere Gaza, ma liberarla". Con queste parole, pronunciate in un'intervista a Fox News, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha tracciato la linea politica del governo in uno dei momenti più delicati per il Medio Oriente. Un'affermazione che arriva mentre il Gabinetto di sicurezza israeliano si riunisce in modo serrato per valutare l’ipotesi concreta di un’occupazione dell’enclave palestinese. Sul tavolo, una scelta difficile, complicata dalla pressione dell’opinione pubblica e dai rischi crescenti per la vita degli ostaggi israeliani ancora in mano a Hamas e dei soldati impiegati nelle operazioni militari.

Gaza, Netanyahu: "Non vogliamo annettere, ma liberare". Pressioni interne e rischio per ostaggi

La posizione di Netanyahu, pur ferma, lascia spazio a un’evoluzione diplomatica. Il premier ha infatti chiarito che l’operazione militare in corso non è "irreversibile" e che Israele è pronto a fermarsi se Hamas accetterà le condizioni poste da Tel Aviv. "Il nostro obiettivo – ha affermato – è creare un perimetro di sicurezza che garantisca la fine delle minacce contro Israele. Solo a quel punto Gaza potrà essere consegnata a forze arabe che la amministrino in modo responsabile, senza rappresentare un pericolo per noi".

Una decisione sospesa tra guerra e diplomazia
La dichiarazione apre uno spiraglio alla trattativa, ma non nega l’intenzione del governo israeliano di mantenere una pressione militare forte e costante. L’alternativa di una gestione araba della Striscia dopo l’eventuale sconfitta di Hamas si inserisce in un quadro di possibile ricomposizione regionale, con l’implicito sostegno di alcune potenze del Golfo e il sostanziale assenso statunitense.

Fonti diplomatiche citano una possibile ripresa dei negoziati già nella prossima settimana, se si creeranno le condizioni sul terreno. Ma mentre si discute di strategie e piani per il dopoguerra, la situazione umanitaria a Gaza peggiora ogni giorno. Le forze armate israeliane (IDF) hanno espresso forte preoccupazione: secondo una nota interna, l’ipotesi di un’occupazione diretta della Striscia potrebbe mettere "gravemente a rischio" la vita degli ostaggi e aumentare le perdite tra i militari israeliani.

Proteste crescenti in Israele: migliaia in piazza
A Tel Aviv e in altre città israeliane, intanto, cresce la protesta contro l’escalation. Migliaia di manifestanti sono scesi in piazza chiedendo lo stop immediato alle operazioni militari, denunciando l’assenza di una strategia chiara e sostenibile a lungo termine. Per molti, la prospettiva di un’occupazione rischia di innescare una spirale senza uscita. I manifestanti temono un impegno militare prolungato, simile a quello che Israele visse durante la prima e la seconda intifada, con costi umani, politici ed economici elevatissimi.

Tra i manifestanti si percepisce una crescente sfiducia nei confronti dell’attuale leadership. I critici accusano Netanyahu di voler prolungare l’operazione per rafforzare la propria posizione politica, in un momento in cui la sua popolarità interna è in forte calo. Gli oppositori evocano il rischio che l’attuale crisi venga utilizzata per spostare l’attenzione da questioni interne spinose, come le controversie giudiziarie che coinvolgono il premier e i contrasti sulla riforma del sistema giudiziario.

Uno stallo pericoloso: ostaggi come pedine geopolitiche
La questione degli ostaggi continua a rappresentare il nodo più critico. Hamas utilizza la loro detenzione come leva negoziale, e il governo israeliano è diviso sul da farsi. Alcuni membri del Gabinetto spingono per un’azione risolutiva immediata, altri ritengono fondamentale guadagnare tempo per evitare una catastrofe umanitaria e contenere le perdite.

Nel frattempo, sul piano internazionale, si cerca di mediare. Gli Stati Uniti restano il principale attore diplomatico, ma anche l’Egitto, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti svolgono un ruolo attivo, cercando una via d’uscita alla crisi. L’ipotesi di affidare Gaza a un’amministrazione araba post-Hamas trova consensi, ma è ancora tutta da costruire.

Israele, intanto, resta in bilico tra l’offensiva militare e il tentativo di soluzione diplomatica. Le prossime ore – e le decisioni del Gabinetto di sicurezza – saranno decisive per il futuro della Striscia e per l'intera regione mediorientale.

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