Le guerre che violentano le donne: lo stupro come arma nei conflitti contemporanei
- di: Cristina Volpe Rinonapoli

L’allarme arriva ancora una volta dalle Nazioni Unite, ed è uno di quelli che non possono restare inascoltati. Volker Türk, Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani, ha denunciato il crescente utilizzo della violenza sessuale contro donne e ragazze come strumento di guerra e repressione in numerosi teatri di conflitto contemporanei. Dalla Repubblica Democratica del Congo a Myanmar, da Israele ai Territori Palestinesi Occupati – comprese Gaza e Cisgiordania – fino all’Ucraina e ad Haiti, i numeri e le testimonianze raccolti tracciano uno scenario agghiacciante. Lo stupro non è più un effetto collaterale della guerra, ma una tattica deliberata e organizzata, un’arma per terrorizzare, soggiogare, spezzare comunità e costringere allo sfollamento.
Le guerre che violentano le donne: lo stupro come arma nei conflitti contemporanei
Secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale legata ai conflitti, sarebbero stati documentati oltre 4.500 casi in 21 diversi Paesi. Ma si tratta soltanto della punta dell’iceberg. Lo ha chiarito con forza Pramila Patten, Rappresentante Speciale del Segretario Generale ONU per la violenza sessuale nei conflitti, sottolineando che il crimine resta storicamente invisibile e ampiamente sottodenunciato. “Sappiamo – ha dichiarato – che per ogni donna che riesce a denunciare, molte altre vengono messe a tacere dalla paura di ritorsioni, dalla mancanza di servizi adeguati, dallo stigma sociale che le isola e le impoverisce”. In questo silenzio imposto, si consuma una delle forme più brutali e perverse di annientamento dei diritti umani.
Sfollamenti, tratta e sfruttamento: il prezzo della fuga
Il rapporto ONU punta i riflettori anche sulle drammatiche conseguenze degli sfollamenti forzati. Donne e ragazze costrette alla fuga diventano bersagli privilegiati di reti criminali e trafficanti di esseri umani, che approfittano dell’instabilità per incrementare le attività di tratta e sfruttamento sessuale. In Myanmar, Ucraina e Sudan – riferisce la Patten – i racconti delle sopravvissute evidenziano come la ricerca di salvezza si trasformi spesso in un nuovo incubo. Le vittime cadono nelle mani di predatori che non vedono nella guerra una tragedia, ma un’occasione per moltiplicare i profitti. Non è solo un problema di sicurezza individuale: è un’emergenza globale che colpisce i diritti fondamentali delle donne, annientandone la dignità.
La brutalità quotidiana dell’economia di guerra
Un’immagine potente e disperata giunge dal Congo orientale, dove molte donne hanno raccontato di portare con sé dei preservativi ogni volta che escono per cercare legna, acqua o cibo, consapevoli di poter essere aggredite e violentate. Una scelta inaccettabile tra la sopravvivenza economica e la sicurezza fisica. “La violenza sessuale – ha spiegato Patten – è ormai una componente strutturale dell’economia politica della guerra”. Non si tratta solo di devastazioni umane: è un meccanismo intenzionale per mantenere il controllo sui corpi e sulle comunità. Stupro di gruppo, schiavitù sessuale, torture: tutte forme che si configurano non solo come crimini, ma come strumenti di dominio politico e strategico.
Una risposta che tarda a venire
L’indifferenza e la lentezza delle risposte internazionali contribuiscono a mantenere alta la vulnerabilità delle donne nei contesti di guerra. Le normative esistono, ma la loro applicazione resta debole. La protezione delle sopravvissute, l’accesso alla giustizia, il supporto sanitario e psicosociale sono ancora insufficienti. Inoltre, lo stigma e la vergogna impediscono la denuncia e spingono molte donne a vivere in silenzio il proprio trauma. “Abbiamo bisogno di rompere il silenzio, di costruire sistemi di protezione efficaci, di riconoscere la violenza sessuale nei conflitti come ciò che è: un crimine di guerra sistematico, pianificato, deliberato” ha ribadito la rappresentante dell’ONU. E ha concluso con un appello alla comunità internazionale perché la questione venga affrontata come una priorità non solo umanitaria, ma anche politica e giuridica.