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Chiamare le cose con il loro nome: quello proposto da Salvini è solo un condono

- di: Redazione
 
Chiamare le cose con il loro nome: quello proposto da Salvini è solo un condono
Forse, in un'altra dimensione, magari abitata solo da coloro che amano esclusivamente l'arte informale, una tela del Caravaggio o di Leonardo sono semplici croste, testimonianze di un modo incompleto di rappresentare quel che si nasconde dentro l'animo umano.
Ma, agli occhi di tutti gli altri, quelle opere restano capolavori. Forse di questo dovrebbe fare tesoro Matteo Salvini che magari potrebbe riguardare un vocabolario, o un testo che raggruppa la normativa fiscale, per capire che la grande pacificazione tra lo Stato e i cittadini tassati, di cui si sta facendo vessillifero in questi giorni, è solo un condono; un semplice condono; un miserevole condono.
Vogliamo dire che ci si può girare intorno, darle delle motivazioni social-commoventi (il popolo vessato che cerca di scrollarsi di dosso il giogo delle inique gabelle) , ma quella che Salvini ha presentato come una proposta per salvare il Paese è un modo riduttivo di fare passare, sotto il naso di chi le tasse le paga, come una sorta di tana libera tutti.

Chiamare le cose con il loro nome: quello proposto da Salvini è solo un condono

Ma la pace sociale, che Salvini dice di volere perseguire, distorce il concetto del rapporto tra cittadino e lo Stato che, per erogare servizi, chiede il pagamento delle tasse, che sono necessarie perché garantiscono - almeno formalmente - equità. Ma il segretario della Lega ha voluto definire il perimetro della sua proposta, non limitandosi a formularla come auspicio. E anche su questo, ha sbagliato qualcosa.
Perché, dicendo che ''se qualcuno ha un problema fino a 30 mila euro che si trascina da anni, chiudiamolo. Gliene chiediamo una parte e azzeriamo tutto il resto'', fa a pezzi la ragionevolezza perché, tradendo il principio di uguaglianza dei cittadini, di fatto premia coloro che si sono messi dall'altro lato della barricata, non rispettando il contratto con lo Stato, che quel ''buco'' lo deve riempire, attingendo ad altri cespiti, e quindi limitandoli nella loro disponibilità per il resto della comunità.

Perché se cancelli il debito di qualcuno (tutto o in parte, comunque considerevolmente) punisci nella sostanza chi ha sempre pagato e che, quindi, d'ora in avanti, si guarderà bene dall'essere un buon contribuente, aspettando il condono prossimo venturo.
Quasi a tutti, la sortita del segretario leghista è apparsa una fuga in avanti in ottica elettorale, per cominciare ad erodere, con vista sulle europee, il consenso dei compagni di viaggio, non distinguendo tra Fratelli d'Italia (in salute) e Forza Italia (febbricitante). E sta cercando di farlo in un campo, quello della riforma fiscale, che rischia di portare qualcuno a promettere cose che poi sarà costretto a rimangiarsi. Appare comunque evidente che se la ''sparata'' di Salvini dovesse essere accettata dagli alleati (e comunque, non lo sarà, anche solo per non fargli intestare una misura popolare) si dovrebbe ridiscutere non solo la materia fiscale, ma anche la situazione della casse statali, che sarebbero chiamate a sostenere un salasso oggi insostenibile.

C'è poi un altro aspetto meramente politico: dire di volere chiudere, per chi ha debiti con lo Stato per trentamila euro, la partita con il fisco significa accentuare la messa all'indice dell'Agenzia delle Entrate, creando un clima di odio che non conviene a nessuno.
A cominciare dal Governo che, prima o poi, dovrà rimodulare i canoni delle sortite pubbliche dei suoi rappresentanti, che vanno spesso a briglia sciolta, come se ognuno, novello aspirante Napoleone, sentisse di avere nello zaino il bastone da maresciallo e non capendo di essere - pur con il massimo rispetto per questa importante funzione - un semplice furiere. Quelli che contano cosa entra e cosa esce.
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