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Groenlandia, auto, web: l’offensiva globale di Trump agita le alleanze e ridisegna la mappa del potere economico

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Groenlandia, auto, web: l’offensiva globale di Trump agita le alleanze e ridisegna la mappa del potere economico

Donald Trump non si accontenta di rilanciare il protezionismo commerciale con dazi su auto, legname e farmaci. Nell’ultima tornata di dichiarazioni pubbliche, l’ex presidente ha dichiarato che “la Groenlandia ci serve e l’avremo”, riportando alla ribalta una delle sue provocazioni più controverse, già al centro di tensioni diplomatiche con la Danimarca durante il suo primo mandato.

Groenlandia, auto, web: l’offensiva globale di Trump agita le alleanze e ridisegna la mappa del potere economico

Le sue parole, pronunciate con disarmante naturalezza durante un comizio in Florida, sembrano più che una boutade: fanno parte di un’idea coerente di egemonia strategica, in cui gli Stati Uniti devono tornare a controllare le risorse, i territori e la tecnologia per riaffermare il proprio primato globale. Nelle stesse ore, Trump ha anche intensificato gli attacchi all’Unione Europea, accusata di “punire i colossi americani del web solo perché hanno successo”, e ha promesso una guerra normativa contro Bruxelles nel caso tornasse alla Casa Bianca.

L’interesse di Trump per la Groenlandia, già emerso nel 2019, non è un vezzo esotico. L’isola, appartenente al Regno di Danimarca ma dotata di ampia autonomia, è un territorio chiave nel contesto delle rotte artiche, sempre più percorribili a causa dello scioglimento dei ghiacci. La sua posizione è strategica per il controllo militare del Polo Nord, per l’accesso a risorse naturali (terre rare, uranio, petrolio) e per la sorveglianza satellitare. Già sede di una base aerea americana, la Thule Air Base, la Groenlandia rappresenta un punto nevralgico anche nella logica delle tensioni con Russia e Cina. Trump lo sa bene, e il suo annuncio non è solo una provocazione: è un segnale a Copenhagen, a Pechino e a Mosca, che gli Stati Uniti potrebbero non limitarsi più al soft power ma tornare a immaginare l’espansione territoriale in chiave geopolitica novecentesca.

Guerra normativa con Bruxelles: Big Tech al centro del conflitto

Nel mirino di Trump c’è anche l’Unione Europea, colpevole secondo lui di “perseguire i giganti americani dell’innovazione” con regolamenti che, sotto il pretesto della concorrenza e della privacy, finirebbero per ostacolare la leadership tecnologica statunitense. Il riferimento è soprattutto al Digital Markets Act e al Digital Services Act, due normative approvate da Bruxelles per limitare l’abuso di posizione dominante da parte delle grandi piattaforme e per rafforzare la trasparenza dei contenuti online. Trump ha dichiarato che “se tornerò presidente, l’Europa pagherà caro ogni attacco alle nostre imprese. Abbiamo lasciato troppo spazio ai burocrati di Bruxelles”. Le sue parole, accolte con preoccupazione dagli analisti transatlantici, fanno presagire una rottura profonda tra Stati Uniti e Unione Europea proprio su uno dei fronti chiave del XXI secolo: il controllo dell’informazione digitale.

Un ritorno all’unilateralismo economico e geopolitico

Tutto lascia intendere che, se rieletto, Donald Trump spingerà l’America verso un nuovo ciclo di unilateralismo. I dazi non saranno un’eccezione ma la regola, le alleanze multilaterali saranno rinegoziate, e le tensioni con alleati storici potrebbero diventare parte di una strategia di ridefinizione degli equilibri mondiali. Il paradigma trumpiano si fonda su un’idea precisa: ogni cosa deve servire l’interesse diretto degli Stati Uniti, anche a costo di sacrificare il sistema internazionale basato su regole condivise. In questo contesto, il desiderio di “possedere” la Groenlandia non appare più come una gaffe geopolitica, ma come la manifestazione plastica di una visione espansionista aggiornata all’era dell’informazione e dei big data.

Dalla diplomazia alla provocazione strategica

I toni usati da Trump potrebbero sembrare provocatori, ma seguono una logica precisa. Nella sua narrazione, l’America è una nazione “imbavagliata da regole altrui” e deve riprendere il controllo del proprio destino con mezzi forti. La Groenlandia diventa il simbolo di ciò che è stato “concesso” troppo a lungo agli altri. Le regole europee sulla concorrenza digitale sono dipinte come strumenti punitivi e non come tentativi di equilibrio globale. E ogni atto di cooperazione internazionale viene letto come compromesso inutile. È una grammatica del potere che fa leva sulla frustrazione dell’elettorato americano e promette la restituzione di un dominio perduto.

La posta in gioco

Quello che Trump sta costruendo, comizio dopo comizio, non è solo un programma elettorale ma una nuova dottrina geopolitica che mescola nostalgia imperiale, controllo delle risorse, supremazia tecnologica e logica di scontro permanente. Se dovesse tornare alla Casa Bianca, gli equilibri costruiti negli ultimi vent’anni rischiano di saltare, e non solo sul piano commerciale. La Groenlandia, in questo contesto, è solo il primo tassello di una sfida che va molto oltre i confini del ghiaccio.


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