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Femminicidi, l’Italia ferita ogni giorno: da Sara a Ilaria, fino a Giulia e Marta Maria

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Femminicidi, l’Italia ferita ogni giorno: da Sara a Ilaria, fino a Giulia e Marta Maria

L’Italia continua a fare i conti con una delle sue ferite più profonde e irrisolte: il femminicidio. Non si tratta di casi isolati, né di raptus improvvisi. È una guerra silenziosa, fatta di abusi, minacce, controlli e sopraffazione che, troppo spesso, si conclude con la morte. I dati ufficiali raccontano una realtà inquietante: la maggior parte delle donne uccise ogni anno perde la vita per mano di un partner, un ex, un familiare. Una violenza che non conosce geografia né ceto sociale e che non può più essere spiegata solo attraverso la cronaca, ma deve essere affrontata come una vera emergenza culturale e politica.

Femminicidi, l’Italia ferita ogni giorno: da Sara a Ilaria, fino a Giulia e Marta Maria

L’ultima di questa lunga, tragica lista si chiamava Marta Maria Ohryzko, aveva 32 anni, era ucraina. Viveva a Ischia, in località Vatoliere, e lo scorso 13 luglio 2024 è stata uccisa con ferocia dal compagno, Ilia Batrakov, 41 anni, che ora si trova in carcere con l’accusa di omicidio volontario pluriaggravato. Secondo quanto ricostruito dai carabinieri e dalla Procura di Napoli, l’uomo le avrebbe sferrato un pugno all’occhio, poi l’avrebbe soffocata tappandole naso e bocca con una mano. Nessuna pietà, nessuna esitazione. Non un incidente, non un litigio degenerato. Ma un gesto lucido, brutale, che parla di dominio e annientamento. Un copione già visto, purtroppo, in decine di altre tragedie.

Isolamento e silenzio: il contesto che uccide due volte
Marta Maria, come tante donne straniere, viveva in una condizione di vulnerabilità che spesso resta invisibile. Lontana dalla famiglia, forse senza una rete di supporto, probabilmente prigioniera di una relazione violenta che nessuno aveva saputo intercettare. I vicini raccontano di litigi frequenti, urla, segnali che – con il senno di poi – suonano come allarmi ignorati. Ma anche stavolta, come troppo spesso accade, nessuno ha potuto o voluto intervenire. E Marta è morta sola, in un contesto che avrebbe dovuto proteggerla. Una donna, una migrante, una compagna. Tre fragilità che, sommate, hanno reso più facile l’atto finale.

Il processo e l’attesa di una giustizia piena
Ilia Batrakov era già detenuto per la vicenda, ma con la nuova ricostruzione dei fatti è stato formalmente accusato di omicidio aggravato. Le aggravanti sono quelle ormai tristemente note: la relazione affettiva, la violenza fisica pregressa, la volontà di annientamento. Ora toccherà alla magistratura ricostruire la verità giudiziaria. Ma la verità morale è già evidente: Marta Maria è l’ennesima vittima di una violenza che non nasce all’improvviso, ma cresce nel tempo, si nutre di indifferenza, si rafforza nel silenzio, e alla fine esplode in modo irreversibile.

Una risposta collettiva ancora troppo debole
Ogni volta che una donna viene uccisa, si riapre il coro delle dichiarazioni, dei “mai più”, degli appelli a cambiare. Ma la realtà è che, sul territorio, mancano ancora strumenti efficaci di prevenzione, reti capillari di ascolto, risorse ai centri antiviolenza. Le forze dell’ordine spesso non hanno formazione specifica, le denunce vengono sottovalutate, e il senso di solitudine continua a essere la trappola peggiore. Serve un cambio culturale radicale, che inizi dall’educazione affettiva nelle scuole e arrivi fino alla politica, che smetta di usare questi drammi come bandiere del momento. Marta Maria, come Sara, Ilaria e Giulia, ci ricordano che ogni giorno è già troppo tardi per intervenire.

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